Cisco – La Lunga Notte

Acquista: Data di Uscita: Etichetta: Sito: Voto:

Curioso che le nuove opere dei vecchi compagni Modena City Ramblers e Cisco abbiano titoli tanto simili, pur nella diversità delle prospettive e dei punti di riferimento. Se il lungo inverno descritto dai primi ha una connotazione decisamente politica, la lunga notte cui fa riferimento Bellotti pare un pensiero rivolto all’umanità in genere e ad un mondo nel quale l’illogico e l’iniquo sembra troppo spesso avere la meglio su quanto vi si contrappone, nell’indifferenza generale degli assuefatti alle ingiustizie. Azzeccato e suggestivo l’artwork della prima fatica da solista dell’ex cantante del combo emiliano per la prima volta di fronte agli oneri e agli onori di un lavoro che ne mette alla prova le doti d’autore oltre che d’interprete, con una cover che ce lo mostra ad occhi chiusi in un immenso campo di grano al tramonto e nel booklet foto di oggetti e particolari domestici evidentemente non privi di significato. Il disco parte bene, sobrio e cupo, con una “Come se il mondo” che rimanda alla “Hurt” di Johhny Cash per arrangiamenti e umore subito seguita da una title track che invece va a parare dalle parti del De Andrè degli ultimi episodi (così come “Venite a vedere” basata di un testo di Sepulveda scritto a seguito degli attentati madrileni…) non fosse per quei crescendo dall’incendere battagliero ed epico, tipici dello stile vocale del Bellotti. Poi però l’equilibrio si spezza e l’ispirazione mostra frequentemente la corda, perdendosi tra toni confidenziali non sostenuti dalle idee di base (“A Volte”) e brani che riportano al più innocuo mainstream rock italiano dalle parti di un Ligabue unplugged (“Il Prigioniero” e la pessima “Best”). Nei brani succitati si apprezza quantomeno il tentativo di allontanarsi dai percorsi folk della casa madre, ma è soltanto un’ impressione dato che nel programma a seguire i temi musicali saranno spesso assimilabili a quelli dei colleghi di lungo corso. ”Terra Rossa”, gli appunti da Routard di “LatinoAmerica” e “Diamanti e carbone” non spiccano però né per le sensazioni evocate né per la brillantezza degli arrangiamenti, non aiutate da un’interpretazione spesso eccessivamente enfatica. Quasi in coda il piccolo miracolo di una indovinatissima rilettura di “Sisters of Mercy” del mai sufficientemente lodato maestro Cohen, una traduzione davvero magnetica e sentita.
Troppo poco però per garantire la sufficienza ad un esordio decisamente deficitario dal punto di vista della personalità e della scrittura e che ancora non ci offre l’esatta dimensione dell’artista che abbiamo di fronte.