Springsteen, Bruce – Magic

Acquista: Data di Uscita: Etichetta: Sito: Voto:

Dopo un attesa di oltre cinque anni il Boss torna in studio con la E Street Band. Durante questo lustro abbiamo visto il rocker del New Jersey cambiare molte volte pelle. Bruce è passato da songwriter a folksinger. Ha Pubblicato due album meravigliosi come ‘Devils & Dust’ e ‘We Shall Overcome’, dimostrandosi ormai un artista completo in grado di rappresentare alla perfezione tutta la musica popolare americana. Inutile chiedersi se il vero Bruce Springsteen sia quello scatenato e rockettaro che siamo abituati a conoscere o quello più intimista e solitario che sempre più spesso si è affacciato sulle scene negli ultimi anni. Bruce è tutto questo e anche di più. E’ però inutile negare che chi da sempre lo ama e lo segue, pur apprezzando i suoi progetti solisti, ha sempre nel cuore l’eroe del New Jersey con i suoi fidi cavalieri della E Street. Proprio per questo motivo l’uscita di ‘Magic’ è stata attesa con grande trepidazione e curiosità. Ci si chiedeva: Bruce si sarà ammorbidito? Sarà ancora in grado dopo le molte divagazioni, di ricreare quel suono forte e melodico, adrenalinico ed emozionante che lo ha reso il Boss? ‘The Rising’, il suo ultimo lavoro con la e Street, aveva entusiasmato tutti, ‘Magic’ per certi versi non si discosta molto (dal punto di vista musicale non certo per i testi) dal suo predecessore ma rispetto ad esso si colloca un pochino al di sotto. La prima cosa che si nota è che questo come non mai è un disco creato appositamente per i live, quasi tutte le song in esso contenute hanno un potenziale dal vivo enorme e sono certissimo che il tour mondiale che ne seguirà sarà entusiasmante. Al solo ascolto però qualche piccola lacuna emerge. A mio avviso la produzione è un po’ troppo incisiva ed ammorbidisce in modo a volte esagerato il suono della band. Ad onor del vero questo in parte succedeva anche in ‘The Rising’ ma in quel caso il grande spessore della quasi totalità dei brani faceva si che questo non fosse un difetto ma bensì un pregio. In ‘Magic’ invece si sente la mancanza a volte di un po’ di grinta, un po’ come se in certi brani la E Street girasse con il freno a mano tirato. Inoltre capita abbastanza spesso di avere una sensazione di deja vù; cosa questa insolita per Bruce visto che i suoi album di solito crescono alla distanza, in ‘Magic’ invece troppo spesso le song suonano un po’ come già sentite. Intendiamoci: stiamo parlando di Bruce Springsteen per cui il tutto va rapportato al personaggio. Se questo album lo avesse pubblicato un musicista qualsiasi ora sarei qui a stenderne le lodi, ma visto che il suo autore è lo stesso di ‘Born To Run’, ‘Darkness …’ ‘The River’, ‘Born In The USA’ il punto di vista deve necessariamente essere diverso e con esso il metro di giudizio. D’altronde se in oltre trentacinque anni di carriera e una ventina di album alle spalle è successo forse solo una volta di deludere ( ‘Human Touch – Lucky Town’) è normale che le aspettative su di te siano sempre enormi. Se ci guardiamo alle spalle, possiamo tranquillamente affermare che tra i musicisti più longevi e celebri nessuno ha una discografia del valore di quella di Bruce. Gli stessi Dylan, Neil Young, Van Morrison e co (quelli insomma del suo livello) annoverano insieme ai moltissimi capolavori più di un passo falso; Bruce invece no, se volessimo semplificare dando dei meri voti si potrebbe tranquillamente affermare che a parte ‘Human Touch’ e ‘Lucky Town’, che si meritano non più di un sei di stima il resto della discografia del nostro va dall’otto in su.

Ma torniamo a ‘Magic’: nonostante le già citate somiglianze col predecessore il disco ha in sè anche delle novità; alcune funzionano bene altre meno… Bello ad esempio il sound del singolo ed opener “Radio Nowhere”, suoni cupi e potenti, la voce di Bruce leggermente filtrata e un torrente di chitarre che ricorda molto i migliori Pearl Jam. Brano un po’ atipico per il Boss ma che funziona indubbiamente bene. La successiva “You ll’ Be Comin’ Down” è una ballata classica di Bruce, grande melodia di facile presa e il tipico incedere springsteeniano, una song senza dubbio buona ma che soffre del già citato effetto freno a mano. Ascoltate ad esempio il passaggio centrale quando entra il solo di Big Man. Chi ama e conosce bene Bruce a questo punto si aspetta il terremoto, con il sax che taglia l’aria, Max che fa esplodere i suoi tamburi e le chitarre che maciullano tutto: invece no, il sound è fumoso, edulcorato come lo si ascoltasse con davanti un muro. Le cose migliorano con “Livin’ In The Future”, un brano che sembra provenire da ‘Born In The Usa’, il tiro è lo stesso di canzoni immortali come “Glory Days” o “Darlington County” . La E Street gira a mille, i cori sono quelli giusti, il sax di Big Man finalmente esce allo scoperto e il brano va via che è una meraviglia. Mi sbaglierò ma secondo me questo sarà uno dei cavalli da battaglia durante i concerti, gli elementi ci sono tutti compreso il tipico “nah nah nah” finale fatto apposta per far perdere la voce al pubblico. Questo è lo Springsteen che ci piace; purtroppo in Magic appare solo a sprazzi. ”You Own Wost Enemy” invece non mi piace per nulla, è un brano spento con arrangiamenti invasivi fino quasi al fastidio e mai un solo momento veramente valido. Fortunatamente la successiva “Gipsy Biker” rimette le cose a posto. Questo è a mio avviso uno dei brani migliori dell’intero album: l’armonica western apre e poi taglia l’aria in sottofondo, poi finalmente esplode il famoso “wall of sound” della E Street, le chitarre sono cattive, Max pesta come sa e il resto della sezione ritmica asfalta tutto. Si prosegue con “Girls In The Summer Clothes” , brano onesto e piacevole, potrebbe essere anche molto di più se non risentisse anch’esso del più volte citato effetto freno a mano. Subito dopo invece si fa un tuffo nel passato, l’intro di piano di Roy Bittan (fino a questo punto a mio avviso colpevolmente in ombra) sembra provenire da ‘Born To Run’ e “I’LL Work For You Love” è quello che tutti ci aspettiamo dal Boss, bella, forte, romantica e nostalgica al tempo stesso. E’ ora il turno della title track e ahimè le cose riprendono a non andare benissimo. “Magic” è una ballata lenta ed intima, un po’ alla “My Hometown” o “I’m On Fire” per intenderci. La voce del Boss e quasi sussurrata ed a tratti incanta, ma è la parte strumentale a fare acqua con il violino un po’ troppo scontato, il mandolino si sente appena e il tutto scivola via senza grandi rimpianti, cosa che purtroppo accade spesso in questo album. Il ritmo ritorna alto con “Last To Die” brano potente, duro dai tratti epici ad un certo punto ti aspetti il “whooooo” di ‘Born To Run’ e invece no e pensi “eh no c…ma mollate sto freno!!!!”. Peccato perché, nonostante questa sia una signora canzone, se solo si fosse osato un pochino, con meno arrangiamenti e più cattiveria, sarebbe stata esplosiva. Sono curiosissimo di sentirla live, per me farà venire giù gli stadi. Finalmente sembra che il disco decolli con “Long Walk Home”: si parte piano chitarra acustica e Max che detta un tempo tenue, Bruce sciorina la sua melodia poi grande rullata e via con tutta la band che finalmente parte e suona come sa fino al ingresso per una volta terremotante prima di Nils e poi di Big Man che spara uno di quegli assoli mitici alla Promised Land, era ora! L’album dovrebbe concludersi con la superpoliticizzata “Devils Arcade” con Bruce che spara a zero sulla guerra in Iraq: è una song drammatica che tratta un tema maledettamente serio e triste e proprio per questo mi viene voglia di chiedere a Brendan O’Brian “ma che caspita ce li ha messi a fare tutti questi arrangiamenti?” Una canzone così va suonata spoglia, con chitarra e armonica, tutti questi archi in sottofondo l’addolciscono troppo, maledizione. La vera chiusura dell’album è affidata alla ghost track “Terry’s Song”: apertura di pianoforte con chitarra acustica per una ballata che arriva diretta al cuore. Bruce torna per un attimo folksinger e incanta davvero, grandissima chiusura con uno dei brani migliori di tutto il disco. Bene, avrete notato che mi sono limitato a commentare i brani di ‘Magic’ dal solo punto di vista musicale senza mai parlare dei testi. L’ho fatto perché questi a mio avviso meritano una citazione a parte. ‘The Rising’ aveva un filo conduttore ben preciso che era l’11 settembre e tutto ciò che da esso scaturiva, rabbia, tristezza, dolore preoccupazione. In ‘Magic’ invece siamo di fronte ad una serie di immagini slegate tra loro, piccole storie di vita quotidiana dei soliti personaggi springsteeniani, una analisi dura di una America che davvero Bruce sembra non capire più. Il nostro parla di un paese vuoto e superficiale ma diversamente dal passato qui non c’è più spazio per i sogni, anzi il Boss sembra rassegnato, guarda la sua nazione, la descrive con la solita maestria ma sembra farlo scuotendo la testa. Anche quando prende posizione in modo deciso con la gestione Bush, egli denuncia e condanna ma non lascia spazio al futuro. Non so, nonostante io sia perfettamente d’accordo con lui su queste tematiche, preferivo il Bruce meno politicizzato, quello che invece di condannare una guerra parlava magari del soldato o di sua madre o di sua moglie; il Bruce che diceva le cose guardando i fatti dagli occhi del singolo uomo, il ragazzo padre di ‘The River’, il reduce di ‘Born In The Usa’, l’operaio di ‘Workin’ On The Highway’, sono questi i personaggi che ho amato davvero. Ma per carità queste sono solo delle considerazioni personali, resta però il fatto che anche dal punto di vista della scrittura nel nostro qualche cosa è cambiato. Veniamo ora alle conclusioni: ‘Magic’ è un buon disco, ha in sè alcune grandissime canzoni ma non si colloca certo al fianco dei capolavori dell’uomo del New Jersey, la sua enorme attitudine live è lampante, sembra quasi che Bruce scalpiti, che abbia davvero scritto un album con il solo intento di andare in tour. Tra poco arriverà anche da noi in Italia, purtroppo saranno in pochissimi a poter assistere all’evento ma come è già successo in passato questo sarà un “pre tour” al quale ne seguirà uno estivo negli stadi. Aspettiamo tutti con ansia quel momento, nel frattempo ascoltiamo ‘Magic’: ci piace ma non ci esalta.