scritta a quattro mani con Giorgio Pace
Scatole Sonore al terzo anno, resiste. La formula continua ad essere quella di sempre, scandagliare le possibilità di interesezioni musicali e artistiche, ampliare il campo percettivo di fronte alle varie arti, e perché no, davanti a musiche che nei fatti, come si dimostra da tre anni, sono effettivamente simili. Ancora due gruppi e impro, più mostra fotografica o video più performance; quest'anno alla struttura si aggiunge Scatole Bianca, ovvero la presenza di una casa editrice (questa volta la Coniglio Editore) e di un gruppo-reading (Amelie Tritesse, nel quale milita Giustino Di Gregorio con all'attivo un buon disco di “plunderphonia” – l'arte del plagio, vedi Okapi – su Tzadik qualche anno fa) che presenta il libro di turno, che nel nostro caso si tratta di 'La Mia Banda Suona Il Punk Rock', opera prima di Manuel Graziani. Il reading purtroppo vola via senza alcun picco, barcamenandosi tra acusticherie in salsa indie-pop-elettro totalmente innocue, quasi un peccato visto che il libro in sè è un bel leggere (ascoltare nel nostro caso) di storie di punk, cazzeggio e dintorni.
Entrando invece nel cuore della parte musica, Scatole Sonore ci propone una serata ad alto coefficiente rumoristico e ritmico, piazzando in rapida successione i milanesi Fuzz Orchestra e gli Uncode Duello di Paolo Cantù e Xabier Iriondo, per poi avvicinarli in una conclusiva jam improvvisata.
Fuzz Orchestra stupisce per i primi dieci minuti, la botta c’è, soprattutto per chi si trova seduto a cinquanta centimetri dalle varie casse a quattro coni sistemate sul palco ad ardltezza padiglione auricolare; poi ci si comincia ad accorgere che le bordate noise sono più o meno sempre le stesse, che i riff sabbathiani ultradistorti dopo un po’ di reiterazione annoiano e che il continuo blaterare dei sample in sottofondo irrita lievemente. E’ un peccato, perché le idee ci sono e proponendole con una ricetta più variata e ragionata forse si otterrebbe un effetto decisamente migliore. L’antipasto comunque fa il suo effetto, stimola l’appetito e fodera le orecchie preparando l’entrata in scena di: Uncode Duello, un’entità cattivissima e magmatica, che riempie il palco di strumenti e pedali e sampler e corde torturate a volumi piuttosto elevati, mentre Cantù e Iriondo sfoderano un epilettico assortimento di ritmiche intrecciate e dissonanze abrasive, sempre in un’ottica di purezza e cura del suono maniacale – in un mare di distorsione e loop e feedback i due chitarristi mantengono un incredibile controllo del suono – mentre dietro le pelli Diego Sapignoli assicura un supporto percussivo forte di vivacità e spontaneità, coaudivato dall’uso improprio di catene, sonagli, coperchi, spazzole e cotillon. Dagli assalti più disturbati si passa ciclicamente a rallentamenti dilatati conditi da divertissement acustici dal sapore tribale, con rare incursioni di sample e carezze al kaosspad piazzato su un tavolino in mezzo alla scena, fino a lisergiche e ipnotiche paludi evocate da un clarinetto diluito in un mare di delay e sovrapposto in melmosi strati sempre meno definiti.
L'impro finale è totale jam nel senso più rock del termine, con cellule di artisti a improvvisare tra loro (e quindi a gruppi di due o tre persone alle volte) stacchetti doom lisergici, groovosi temi anni '70 e giochetti con i sample – riusciti molto meglio in questo caso. This is foockin' “”rock””, quasi mai serio e impegnato fino in fondo ma è “”rock””, altro che avant-impro-salcazz. E così deve essere.
Prossima serata, giovedì primo novembre: Wu Fei, Ioioi e Tasaday