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L’enorme bolla di sapone del metalcore è scoppiata da tempo (ma non temete, ora il trend è il deathcore ovvero: riciclo-death-metal-e-mi-metto-l’ombretto) e i pochi gruppi “punta” che erano riusciti a fare qualcosa di sensato hanno cominciato a dover cercare nuove soluzioni per non scadere a livello delle decine di epigoni minori. Gli Unearth sono sempre stati un po’ in bilico, con dischi azzeccati in parte, intuizioni simpatiche ma mai capaci di sollevare un intero disco per tutta la sua durata. Ovviamente parliamo di supermercato-metal, di riff scontatissimi e spruzzatine maideniane, soffertissime (come no) urla in scream e onnipresenti stacchi mosh fatti con lo stampino, roba che puoi sentirti giusto in macchina tre volte prima di conoscerla a memoria e indovinare tutti gli attacchi e i ritornelli. Ovviamente già dalla copertina sapete cosa hanno pensato questi simpaticoni: si sono resi conto che in fondo il metal vent’anni fa spaccava, che il metal è cafoneria e non impegno sociale – quindi niente centrali nucleari in copertina, chi se ne frega! -, hanno capito che con un pochetto più di varietà e ritmiche tirate potevano ancora rimediare un po’ di attenzione, e incredibilmente hanno scritto un bel disco. Ovviamente è supermercato-metal pure stavolta. Ovviamente ci sono gli immarcescibili lead armonizzati, le spruzzatine in sweep sempre uguali e gli irrinunciabili stacchi mosh. E ovviamente dopo venti ascolti il cd lo metterò dietro il lunotto della macchina così non mi pizzicano gli autovelox (lo so che non funziona). Però quei venti ascolti glieli dò volentieri, perchè è veloce, vario, idiota, iperprodotto e scade dopodomani. Al primo che gli sento dire “fortizimo questa roba è il nuovo dead metal” gli taglio la capoccia con un cd a caso dei Sodom.