Intervista a Three Second Kiss: Manuale di sopravvivenza dell’entusiasmo

  • ‘Long Distance’, uscito il mese scorso, sancisce il ritorno tanto rumoroso quanto gradito dei Three Second Kiss, una band che nonostante si faccia notare e sentire da molti anni riesce sempre a stupire e colpire l’ascoltatore con ogni puntata della sua storia. Ho contattato via e-mail Sergio Carlini, chitarrista della band, per approfondire il progetto e la musica di un gruppo capace di attraversare una ampia fetta di vita musicale indipendente italiana senza perdere una briciola della sua vitale creatività.

    Rocklab: ‘Long distance’ l’ho trovato tanto energico quanto volto a cercare una continua evoluzione nel vostro suono, tanto forte quanto eclettico e versatile. Com’è stata la gestazione delle nuove canzoni?

  • Sergio Carlini: ‘Long Distance’ è una nuova partenza per TSK. L’ingresso di Sacha nel gruppo ha inevitabilmente cambiato alcune coordinate compositive e di metodo. Il suono dei TSK ha così scoperto una nuova potenza ed energia, ma anche un’asciuttezza che, pur mantenendo la sua vena umorale ed instabile, va nella direzione di scarnificare suono e strutture, trovando un’essenza meno introspettiva che in passato ma più viscerale, anche se ragionata. Mettere insieme energia e sensibilità compositiva continua ad essere ciò che mantiene ancora vivo dopo tanti anni il nostro amore per la musica.
  • R: Risulta sempre facile collegarvi al cosiddetto math-rock, un filone musicale che più passa il tempo, più porta difficoltà per i gruppi che gli sono accostabili nel trovare e rinnovare la propria personalità. Qual è il fattore che andate maggiormente a ricercare nella vostra esperienza musicale (sempre se secondo voi è giusto buttarvi in questo genere/calderone)?
  • S: Per noi non si è mai trattato di rinnovare uno stile. Senza polemica … con le etichette mi muovo proprio male. Però provo a stare sulla domanda usando un lessico giornalistico, tanto per capirci meglio: forse i TSK sono stati a tratti angolari e matematici verso la fine degli anni ’90, ma credo che oggi non abbiano assolutamente niente di quell’approccio. Come dici tu, è facile, e io aggiungo anche piuttosto miope, ricollegarci a quella scena musicale. Purtroppo quando si sente un basso più metronomico ed una chitarra tarata su tonalità lancinanti, si tende a fare un accostamento di puro suono, senza scavare nella reale sostanza delle composizioni, che nel nostro caso vanno in direzione completamente opposta al calcolo matematico. Il sound dei TSK, cercando una mediazione tra fisicità e lirismo, è sempre stato fuori da certe etichette, perché arriva allo stomaco ma raggiunge un’emotività che solo un’attitudine trasversale, più compositiva può esprimere. Credo sia questo che ci conferisce personalità ed autonomia, dopo molti anni. Poi … oramai di calderoni in cui TSK sono stati buttati ce ne sono davvero tanti e questo è per noi più che altro motivo di divertimento. Soprattutto quando vedi che per altre band palesemente ispirate ad una scena e ad uno stile musicale ben circoscritti, perfino dal punto di vista estetico, non si citano modelli di riferimento. Allora alzi le spalle e capisci che la pigrizia e la mancanza di analisi è oramai parte della cultura occidentale, giornalistica e non, musicale e non. Siamo tutti un po’ rintronati.
  • R: Una domanda che faccio sempre ai gruppi che, seppur in modo diverso, seguono un certo tipo di rock energico e allo stesso tempo particolarmente curato nella composizione è quanto nella loro musica è valvola di sfogo dalla vita di tutti i giorni. Nel vostro caso quanto l’espressione musicale è riflesso della quotidianità?
  • S: Fare musica è una bella bestia. Confrontarsi continuamente con quello che hai costruito ti mette di fronte alla capacità di superare sentimenti contrastanti come l’euforia per una nuova idea o la frustrazione per la constatazione che questa idea magari non funziona. E quindi, in qualche modo, sviluppi una tua reattività, una curiosità che ti porta ad evolvere e trovare sempre stimoli nuovi. Fa parte del nostro carattere avere una certa permeabilità tra musica ed esperienza quotidiana. Se le lasci respirare reciprocamente e ci butti tutto dentro, ti costa molto in termini di assorbimento energetico, ma può funzionare molto bene in termini di risultato sonoro. Per quanto mi riguarda quindi la musica non è né fuga né valvola di sfogo dall’esistenza, in quel caso le due dimensioni rimangono comunque separate. Musica e quotidianità nei TSK si toccano e si influenzano a vicenda in modo totale, sono una cosa sola, un solo modo di pensare. Te ne accorgi quando smetti di suonare per un po’ … non stai più tanto bene.
  • R: Nonostante i cambi di formazione siete una band molto che ha avuto un gran numero di esperienze al di fuori dei confini nazionali. Quali sono le cose che un gruppo può trovare all’estero e che in Italia mancano completamente?
  • S: Tempo fa c’era uno scarto molto più forte tra estero, in particolar modo tra Stati Uniti, e Italia. Una spontaneità e una freschezza dovute più che altro al fatto che il rock nei paesi anglosassoni è parte del tessuto culturale, qualcosa con cui un adolescente cresce. Noi abbiamo avvertito questa differenza, sia alla fine dei ’90 che nei primi anni 2000. Da noi c’è stata più un’adesione esterna, quindi forte nella sua struttura, ma comunque esterna alla nostra cultura. Ora, a parte forse un maggiore radicamento genetico che porta all’estero più gente ai concerti e ti fa trovare quando sei in tour una maggiore professionalità nell’organizzazione dei live, credo che il rock abbia subito come tutto il resto, una forte globalizzazione comportamentale. In poche parole non ci trovo più tante differenze. Sia nel bene che nel male si intende. In bene perché anche da noi sta finendo quell’approccio di confine, un po’ provinciale e allo stesso tempo snobistico, a favore di una maggiore spontaneità verso una materia – il rock – che senti oramai di padroneggiare culturalmente oltre i confini geografici. In male perché questo discorso ha un inevitabile rovescio della medaglia che è quello dell’appiattimento, della standardizzazione sia da parte di musicisti che di pubblico. Poca voglia di sperimentare e ricercare. Accontentarsi di quello che passa il convento … c’è poca energia in giro. Aspettiamo di tornare in America per vedere cosa sta di nuovo succedendo da quelle parti.
  • R: Guardandovi indietro qual è il bagaglio più importante per i Three Second Kiss di oggi e domani?
  • S: Probabilmente è quello di mantenere una certa verginità dell’esperienza. Siamo insieme da tanti anni, abbiamo accumulato suono ed esperienza tali per cui sarebbe più facile andare avanti “in folle”. Noi preferiamo invece una certa incoscienza nel ricercare soluzioni diverse, nuove e stimolanti, anche difficili da sostenere da un punto di vista musicale e logistico, ma non dettate solo dalla maturità e dalla comodità. Alterniamo concerti di fronte a 1000 o a 20 persone senza incrinare la nostra tenuta e il nostro entusiasmo. Possiamo tranquillamente essere due bolognesi e un catanese in formazione, con la sofferenza che questo comporta negli spostamenti e nel sacrificio di forze ed energie. Riferendomi meglio alla tua domanda, vedo questa capacità per TSK come una caratteristica importante per il nostro presente e futuro, una delle lezioni che sento di poter tramandare alle band più giovani. Una cosa che, senza alcuna presunzione, non vedo appartenere a molti gruppi del circuito. O implodono anzitempo frustrati dal mancato raggiungimento di un veloce obiettivo di visibilità o continuano a marce basse, profondamente noiose e routinarie, i consueti iter: il disco, il video, la promozione … perché è così che fan tutti … per noi non ci sono mire più alte della sola passione verso quello che facciamo, fatto nelle modalità e nei tempi che il gruppo sceglie. Come faresti a resistere altrimenti facendo musica underground per circa 15 anni …
  • R: Per finire questa intervista e avendo parlato sia del presente contenuto nel nuovo ‘Long Distance’, del passato con le vostre molteplici esperienze, non resta che chiedervi cosa dobbiamo aspettarci dai Three Second Kiss per il futuro.
  • S: Musica dal vivo ovviamente. E nuovi dischi che secondo le nostre buone promesse, purtroppo a volte smentite nei fatti, vogliamo cercare di fare con una maggiore continuità rispetto al passato. Abbiamo appena chiuso la nostra prima tranche del tour nord europeo e a settembre saremo di nuovo in Svizzera, Austria, Francia e Belgio, ed ovviamente di nuovo negli Stati Uniti, più in là nel corso dell’anno. Quindi … molta musica dal vivo, perché il live è rimasto l’unico vero momento di contatto tra la gente che segue musica, il momento in cui questa si manifesta nella sua nudità, senza trucchi telematici. Un momento dedicato solo alla relazione e alla conoscenza.