Intervista a Dargen D'Amico: Last Man Standing

  • L’occasione è davvero storica. Rocklab ha il piacere, anzi l’onore di intervistare Dargen D’Amico, rapper atipico e testa pensante che dopo un debutto folgorante come Musica senza musicisti si è letteralmente superato con l’ultimo Di vizi di forma virtù, un disco favoloso che a parere di chi scrive è sicuramente uno dei dischi dell’anno. Ecco cosa è venuto fuori da questa breve chiacchierata.

    Rocklab: Innanzitutto ti ringrazio molto per quest’intervista e ti faccio i complimenti per Di vizi di forma virtù, un disco che mi ha letteralmente folgorato per apertura mentale e mole di idee presenti tra i suoi solchi. Mi ha colpito molto il fatto che lungo tutta la durata del disco riesci a cambiare pelle, ad essere più persone, ad essere terribilmente reale ma nello stesso tempo surreale. Fai pensare e fai riflettere, e con i tempi che corrono non è cosa da poco. Come affronti la scrittura di un brano? Come vivi il tuo far musica e di rapportarti all’ascoltatore?

  • Dargen: Innanzitutto grazie, me la sono salvata la tua introduzione. Io non scrivo canzoni che fanno cambiare idea a chi le ascolta, non sono teoremi, sono canzoni la cui scrittura si basa principalmente su sensazioni. Ogni uomo può avere decine di sensazioni in qualsiasi momento, partendo da quelle la scrittura è quasi immediata. Una volta calcificata un’immagine leader, vai a ruota libera. Mi è facile non essere me stesso ed essere più di uno, tanti personaggi quante sono le sensazioni. Solitamente assorbo un’immagine e rimugino, fino a ricavare più immagini partendo da un unico stimolo. Poi non faccio che unire i puntini neri tra un’immagine e un’altra e la canzone è fatta. Di tutti gli stimoli che ricevo, con la canzoni ne rilancio solo una minima parte verso l’esterno, però è quella minima parte che mi salva dalla tristezza, quella minima parte che rilancio è la goccia che altrimenti farebbe traboccare il vaso. E non ho nemmeno una buona memoria: nel momento in cui rileggo il reale in qualche modo siamo già sul piano del surreale, e non riesco a rimanere coerente per più di due canzoni di fila. In compenso riesco a ricordare con l’immaginazione e gran parte del lavoro non la faccio coscientemente.
  • R: Uno dei temi portanti dell’opera è la precarietà: precarietà affettiva, lavorativa, economica, nei rapporti con la gente, con le donne e con te stesso. Nonostante ciò lasci sempre intravedere un barlume di possibilità di cambiamento e riesci a trasmettere un senso di speranza all’ascoltatore (ma forse anche a te stesso). È proprio questo ciò che ti prefiggi facendo musica?
  • D: Credo sia il tema dell’uomo e del mondo, la precarietà tra la vita e la morte, tra la luce e il buio, tra il caldo e il freddo, tra nord e sud. Scrivere una canzone sulla precarietà tra il caldo e il freddo non è per niente semplice, io ci ho provato ma non è venuta come me l’ero immaginata. Così ne ho scritta una sulla precarietà tra lavoro e disoccupazione, ho subito notato che era molto meno impegnativo. La musica che faccio mi aiuta a bilanciarmi nella precarietà tra vita e morte, ma molto meno in quella tra lavoro e disoccupazione.
  • R: Nel brano Il rap per me descrivi magistralmente la tua attitudine, il tuo modo di affrontare la musica. Cosa ne pensi dell’attuale scena hip hop italiana? Io trovo che molto spesso questa scena difetti di ironia e si prenda un tantino troppo sul serio, ma magari la mia è solo un’impressione superficiale…
  • D: Restando su un discorso generale, ‘Il rap per me’ è tutta su questo fatto, quindi potrebbe essere la canzone stessa una risposta a questa domanda e non viceversa, come sto facendo ora. Entrando nel particolare della scena italiana, sono due le tipologie di rapper: chi si prende sul serio e chi finge di prendersi sul serio, e se qualcuno poi gli fa notare che fa troppo sul serio, allora finge di fare finta. Io ne penso bene della scena italiana, oggi la guardo dall’esterno ma ci sono cresciuto dentro. Potresti mai dire male di una qualcosa dentro la quale sei cresciuto? Ai tempi non condividevo il fatto che ci si rifacesse quasi esclusivamente al background musicale americano. Oggi forse la situazione è peggiorata da questo punto di vista. Si scimmiottano sia il sound che gli atteggiamenti. Però se lo scimmiottamento è ben fatto, sono il primo ad applaudire, dopotutto lo scimmiottamento visto in un’ottica storica non è altro che studio.
  • R: Di vizi di forma virtù sembra un disco molto pensato, un disco molto ragionato che non può essere capito da tutti. Chi lo ascolta in maniera superficiale ne rimane quasi spaventato, chi ci entra dentro non ne esce più (come il sottoscritto, che a volte si trova a citare nei discorsi di tutti i giorni brandelli sparsi dei tuoi testi). Sembra quasi che tu voglia selezionare gli ascoltatori per arrivare solo a chi è in grado di capirti veramente. È proprio così o è solo una mia libera interpretazione?
  • D: Il disco è sicuramente molto pensato, è nato e cresciuto in testa prima che in studio di registrazione. Non ho fatto vita da topo da studio per questo disco. Nella vita di tutti i giorni non sono uno che si apre con facilità. Se decido di aprirmi è perché so che non devo stare troppo a preoccuparmi. Con le persone che ti conoscono meglio, non rischi mai di peggiorare l’idea che hanno di te, o perché ti vogliono troppo bene per o perché un’immagine peggiore di quella che hai già dato negli anni non è proprio possibile. Però il discorso è tutto qui, si tratta solo di canzoni che possono non interessare tutti. Alcune sono chiaramente il risultato di movimenti cerebrali tutti miei, il motivo per cui la musica è soprattutto un palliativo di vita per chi la fa; ma le altre canzoni sono indirizzate senza confini regionali. Diciamo che o parlo a tutti o a nessuno, il fatto che poi mi ascoltino in pochi è un altro paio di maniche.
  • R: Da un disco come Di vizi di forma virtù traspare una grande apertura mentale. Non hai paura delle cose non convenzionali e non hai paura di rischiare. Non è da tutti saper associare liriche del genere a ruvide basi electro (permettendosi oltretutto di usare spesso e volentieri il vocoder in maniera così visionaria e psichedelica). Per me la mera classificazione nella categoria hip hop ti sta stretta. Hai mai pensato di uscire fuori con un disco da cantautore duro e puro o, ancor meglio, con qualcosa di fuori di testa in stile Bugo (un artista che a mio parere ha grandi affinità con te e che ultimamente ha avuto una grandiosa svolta electro)? Ti confesso che sogno una collaborazione tra te e lui…
  • D: Non credo di essere uno che rischia molto, non ho molto da rischiare e non è così rischioso fare un disco come te lo senti, per uno sconosciuto come me, soprattutto se puoi farlo in piena libertà, con un produttore esecutivo che ti lascia carta bianca. Se l’avesse pubblicato la Pausini ‘Di vizi di forma virtù’ allora sì, lei sì che avrebbe rischiato. Ho parlato di musica con Bugo un paio di volte, mai dire mai. Anche se penso che, se dovessi concretizzare con tutte le persone con le quali trovo un’affinità, registrerei ogni giorno e farei l’amore ogni notte.
  • R: Ed ora passiamo all’angolo della domanda scomoda, domanda che mi permette di sapere di più di te e di capire meglio la tua musica: cosa ascolti di solito? Intendo, quali sono i tuoi musicisti al di fuori dell’ambito hip hop? Ma soprattutto, che ne pensi di Così com’è degli Articolo 31? (vorrebbe essere una gag, non mi è riuscita perché non l’ho capita nemmeno io…)
  • D: E’ impossibile parlare seriamente di quello che ascolto perché la sento come una domanda troppo personale. E’ come chiedermi a cosa sto pensando ultimamente. Ascolto molta musica non recente, specialmente italiana. Quelli che ho ascoltato di più, e soprattutto che cito sempre per comodità, sono Dalla e Battiato. La scorsa settimana ho ascoltato quasi solo ‘Anima latina’ di Battisti e ‘Amico che voli’ di Eduardo De Crescenzo. In questo preciso istante sto ascoltando un podcast dei Crookers per la Mad Decent, prima ho ascoltato gli Spinners, Prince e Britney. Le gag ci stanno sempre bene, io però ho sempre apprezzato qualche canzone in ogni disco degli Articolo, in quell’album in particolare, ‘Funkytarro’ e ‘Fatti un giro nel quartiere’.
  • R: Cosa faresti se domani ti svegliassi e scoprissi un tuo video in heavy rotation su Mtv?
  • D: Comincerei a stare più attento a quello che mangio.