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Bingo! Oslo, Norvegia. Mesi e mesi di noia stantìa, chiacchierate inutili con gente appagata da un’arte gustosa come una galletta di riso. Giorni in cui il giradischi mi osservava sornione e benevolo nel fargli suonare dischi vecchi di almeno vent’ anni, giusto per tenermi in salute. Poi lo schianto. Una nenia infernale, qualcosa che stava montando, come se avessero stipato rabbia e messa sottovuoto. Il cuore iniziò a pompare. David Dajani, re degli scheletri suona ora la carica, vomitando migliaia di pipistrelli vocali nero pece, in un growl che possiede tutti i crismi dell’ originale grido primordiale. Qualcosa che rimette al mondo. Poi il buio avvolge malevolo e sei spacciato, fottuto, catapultato nel mio mondo dei balocchi a tinte transilvaniche. Nei primi dieci secondi di In a dirty cellar ci si trova ospiti alla mensa di Bela Lugosi (piatto forte: scorpioni) prima che Dajani ruggisca nuovamente ritmando l’inferno di vox che ha ormai drogato l’aria. Puzza, fetore, desolazione, corpi squartati e vecchie copie di Tales from the crypt a suturare inutilmente le ferite mortali. Con Slumber blues la notte riavvolge e si fa crepuscolo, offrendo un ballo alle streghe più sexy e tossiche di tutta la vallata della morte. Poi ancora cimiteri, messe sacre per ghoul (Death trip) e gorgheggi satanici. Sono vivo. Grazie Pirati.