- Il mondo musicale è un affascinante sistema astronomico al cui centro c’è ovviamente lei, la musica, ma attorno ad essa ruotano pianeti e satelliti, sfrecciano comete e meteoriti: organizzatori, produttori, manager, collaboratori, grafici, fotografi, videomaker, tecnici e chi più ne ha più ne metta. Allora a volte è bello spostare l’attenzione da chi la musica la crea a chi la musica la vive in un altro modo, e Stefano Masselli, 44 anni, eccellente fotografo milanese stakanovista (per fare un esempio: 27 concerti fotografati solo nel mese di novembre) è uno di questi. Sì perché con i suoi scatti (pubblicati per esempio sul Il Mucchio ma non solo) è capace di trasferire su pellicola (o su pixel) emozioni sonore, suggestioni musicali, volti, espressioni, sudore, passione.
RockLab: Partiamo dagli inizi. Leggendo una tua biografia in rete (forse l’unica che sono riuscito a scovare) ho trovato una passione che nasce molto presto e che trova in un concerto del 1994 dei Radiohead il battesimo vero. Da quella data in poi cosa è successo?
- Stefano: Purtroppo in quella biografia c’è un errore: il concerto dei Radiohead è del 1995, 21 novembre 1995, a Milano. Da lì, in ogni caso, è partito tutto: le foto vennero pubblicate su una fanzine ottenendo un buon riscontro da parte dei lettori con conseguente richiesta di stampe (all’epoca la carta stampata era ancora molto seguita). Le foto pubblicate vennero viste anche da un mio amico che all’epoca era un importante giornalista musicale e subito mi propose di seguirlo al Reading Festival 96. In una settimana fotografai dal pubblico la prima edizione del V Festival (ed all’epoca se ti prendevano a fotografare senza pass ti sequestravano l’attrezzatura… non come oggi dove tutti fotografano con flash e obiettivi anche professionali in assoluta libertà!) e con accredito al Reading Festival. Mi ritrovai a fianco dei più affermati fotografi rappresentanti le più importanti testate mondiali e dopo cinque giorni di concerti e circa 80 band fotografate, mi ritrovai ad avere un archivio fotografico già di un certo livello, con band che non erano ancora passate dall’Italia e che da lì a poco avrebbero conosciuto la fama internazionale. Le foto scattate in quella settimana le usai per tutto l’anno ottenendo pure delle copertine. Così ogni anno sono tornato in Inghilterra fino al 2006 riuscendo a coprire in totale 11 Reading Festival, 4 V festival e 2 Glanstonbury Festival (nel 2006 al Reading Festival su un’ottantina di fotografi presenti ero quello con il maggior numero di presenze!).
R: Circa le tue presenze al Reading hai precisato “fino al 2006”. Come mai hai smesso?
- S: Io sono dell’idea che le cose devono essere fatte bene altrimenti è meglio non farle. Il festival inglese è molto duro: per tre giorni mi devo portare i miei più di venti kg di attrezzatura tra i 5 palchi dalle 11 del mattino fino a dopo la mezzanotte. Non ci sono soste, si mangia di sfuggita qualche barretta e si beve dell’acqua sottratta alla security. Poi, dopo aver mangiato e goduto una pinta di birra nel backstage, si va in albergo con a seguire doccia, carica delle batterie, scarico delle foto su hard disk e meno di sei ore di sonno. Sveglia alle 7:30 per abbondante english breakfast, controllo e messa a punto dell’attrezzatura, spostamento al sito, controllo programma della giornata e stesura del piano d’azione (concatenare il maggior numero possibili di concerti diventa come un operazione militare!) e poi via di nuovo come il giorno prima. Qualche numero della mia ultima edizione: 3 giorni di concerto, 5 palchi, 58 band fotografate, 38°C di febbre al rientro, 3 kg in meno, quasi 17.000 foto! Capisci perchè mi sono detto che era giunto il momento di lasciare un po’ di spazio anche agli altri?
R: Solitamente ai musicisti nostrani si chiede sempre il loro parere sulla differenza di pubblico e di organizzazione dei concerti tra la situazione italiana e quella estera. Tu, che avrai sicuramente un punto di vista diverso da quello dell’artista sul palco, cosa ci puoi dire?
- S: In Spagna, in Germania e negli altri paesi europei non c’è molta differenza con la nostra realtà, mentre in Gran Bretagna c’è tutta un’altra atmosfera. Il pubblico è sempre pronto, preparato, salta, canta e balla anche con concerti che da noi vedremmo da seduti. L’organizzazione è perfetta: ai festival i cambi palco si fanno in 15 minuti, ci sono dai 6 ai 9 palchi e raramente gli orari pubblicati subiscono ritardi. Ma la grossa differenza riguarda la mia attività: qua in Italia c’è sempre qualcheduno del pubblico che in modo poco gentile ci chiede quando ce ne andiamo dal sottopalco, in Inghilterra invece chiedono di essere fotografati, vogliono sapere dove sarà possibile vedere le foto scattate, etc. Inoltre il fotografo è sempre ben visto da quelli del settore, anche più dei giornalisti: nei festival i fotografi hanno il loro spazio riservato con diversi addetti stampa sempre pronti ad agevolarti nel tuo compito, permettendoti anche di fotografare in qualsiasi momento del concerto in modo da poter coprire tutti gli show… un altro mondo!
- R: Ho conosciuto i tuoi scatti tramite Flickr (ndr: la sua pagina è http://www.flickr.com/photos/stefanomasselli). Che importanza può avere oggi secondo te uno strumento come questo (e siti simili) per chi vuole fare della fotografia qualcosa di più di una passione?
- S: Io ho iniziato ad usare Flickr per poter far vedere in redazione un maggior numero di foto in modo che potessero scegliere quelle più adatte, ma in breve mi sono accorto che Flickr è una finestra sul mondo: ho scoperto di aver affezionati in ogni continente, ma soprattutto, sono stato contattato da riviste d’oltreoceano, da etichette discografiche e dagli artisti stessi. È chiaro che non si è i soli ad usare Flickr, quindi la differenza la fa come al solito la qualità. Flickr è molto meglio di un proprio sito: non necessita di manutenzioni, è semplice, economico e soprattutto fa comparire nei motori di ricerca; è uno degli strumenti per andare oltre alla passione, ma non è l’unico mezzo per il successo… è come pensare che basti avere una buona macchina fotografica per diventare fotografi: impossibile!
R: Sicuramente ci sarà stato qualche episodio divertente, qualche aneddoto che spesso racconti magari alle cene tra amici (vedo già l’atmosfera conviviale e voci che dicono “Dai, Stefano, raccontaci qualcosa! Che ti è successo ultimamente sotto il palco?”).
- S: In effetti ne ho viste di tutti i colori: dalla scazzottata tra Pete Doherty e Carl Barat con volo finale giù dal palco in uno dei primi tour dei Libertines, al tizio saltellante completamente nudo sul palco delle Elastica chiaramente divertite; l’ultima al concerto dei Television Personalities (band storica dei fine anni ’70 dalla quale hanno attinto a piene mani band quali Franz Ferdinand, Arctic Monkeys e tante altre) dove il leader ed unico membro rimasto Dan Treacy, si è presentato dal pomeriggio con una scarpa in mano per un problema al piede ed è pure andato a mangiare in pizzeria sotto una pioggia scrosciante sempre con la scarpa in mano!! Ma gli episodi più particolari sono quelli visti nei backstage e nei camerini che però devono rimanere nel più assoluto riserbo.
- R: È ancora valida la vecchia legge del “foto solo nei primi tre pezzi?”. Te lo chiedo perché dalla mia esperienza personale di forte presenzialista ai concerti, noto che ci sono volte in cui il pubblico (tramite cellulari o macchine compatte) per tutta la durata del concerto scatta foto a ripetizione con i flash. A questo punto forse i fotografi ufficiali danno meno fastidio.
- S: “Tre pezzi, niente flash!” oramai sembra che sia diventata la parola d’ordine tramite la quale si può accedere sotto il palco !! una volta non era così ristretto, ma eravamo in pochi e soprattutto riservati; per noi era fondamentale non dare fastidio alla band; personalmente cerco di stare attento anche a cosa indosso: niente colori sgargianti o cose che possano distrarre, si deve cercare di essere invisibili per poter catturare i loro attimi di maggior intensità. Poi con l’avvento delle prime digitali compatte sono arrivati una nuova ondata di fotografi che scattavano con flash continui in spregio a qualsiasi regola, così ecco arrivare i “tre pezzi poi fuori dal c***o!” Certo che riporre la propria macchina fotografica e vedere gente con quasi la stessa attrezzatura fotografare tutto il concerto dalle prime file da un po’ di fastidio, però non ci posso fare nulla. Anzi spesso approfitto del lampo del loro flash per dare una differente illuminazione alla mia foto (sembra impossibile, ma le piccole macchine prima di scattare hanno un fascio di luce rossa, io mi preparo e scatto in contemporanea… si tratta di esperienza).
- R: Ho visto che alcuni dei tuoi scatti sono appesi nella sezione musica della Fnac di Milano, e che in passato hai fatto alcune mostre fotografiche. Com’è stata l’esperienza della mostra? Ce ne saranno altre in futuro oppure oramai è il web la tua galleria preferita?
- S: La mostra è un punto d’arrivo, non di partenza. Per fare una mostra (fatta bene) ci vogliono molte risorse, tempo ed un buon giro di conoscenze. Fare una mostra diventa un riconoscimento del lavoro svolto ed anche una specie di ringraziamento per chi ha creduto in te. La gente si presenta praticamente solo nel giorno dell’inaugurazione e questo avviene anche per i fotografi più blasonati che espongono nelle migliori gallerie d’arte. Difficilmente si riesce a vendere delle foto ed il lavoro di qualche mese si esaurisce in qualche giorno. Nel web invece c’è sempre qualcuno che viene a visitarti (ho una media di 4-500 foto viste al giorno con punte fino a 1500, qui ci sono le più apprezzate http:// www.flickriver.com/photos/stefanomasselli/popular-interesting). Ora sto pensando di realizzare un libro molto curato nella forma e nella stampa e, probabilmente, per la sua uscita organizzerò una mostra.
R: Consigli per i fotografi in erba? Oltre a fare tantissima pratica intendo. Quanta preparazione teorica ritieni necessaria?
- S: Quello che manca alle nuove leve è proprio la preparazione. Comprando una macchina nuova si prova a scattare in completo automatismo e ci si accontenta, oppure si da la colpa degli scarsi risultati alle basse luci presenti. In realtà è la mancanza assoluta di conoscenza sia della teoria che della macchina; spesso i fotografi mi chiedono spiegazioni sulla loro macchina dicendomi che non hanno tempo per leggere il libretto di istruzioni! Quindi consiglio di leggere la teoria della fotografia e i libretti d’istruzione provando tutto; poi non perdetevi nelle riviste fotografiche (troppo intellettuali, ma fondamentali per essere informati sulle novità) ma guardate le riviste di moda cercando di intuire come hanno scattato, quali diaframmi, quali impostazioni delle luci e soprattutto l’inquadratura: i neofiti scattano come se avessero un fucile, con il soggetto esattamente al centro della foto pronto per essere impallinato. In realtà il fotografo guarda il bordo del mirino e tutta la sua area deve essere riempita con criterio, seguendo le regole della sezione aurea. E poi scattare, scattare , scattare… con il digitale non costa pure nulla!
- R: C’è qualche gruppo che vorresti fotografare e per ora non hai avuto ancora l’occasione di farlo?
- S:I gruppi che vorrei fotografare sono quelli che ormai non ci sono più: i Beatles, Hendrix, gli Who dell’epoca, i Sex Pistols nel ’77, etc.
Per quelli attuali voglio fotografare le band nel loro momento topico, dove danno tutto sul palco e stanno vivendo il loro momento di gloria. - R: Che rapporto hai con la musica (a parte l’ovvio legame professionale)? Sei un avido consumatore? E che dischi stanno girando sul tuo stereo in questo periodo?
- S: Sin da piccolo ho ascoltato musica giocando con i vecchi mangiadischi tra 45 giri dei Beatles, di Louis Armstrong e di tutto quello che girava per casa. Poi la passione è continuata diventando una malattia: chi frequenta/ha frequentato i vecchi negozi di dischi e/o ha letto ‘High Fidelity’ senz’altro mi capisce. Ho per casa diverse migliaia di CD e non ho ricomprato il giradischi per non rovinarmi del tutto (comunque posseggo qualche centinaia di 45 giri dagli anni 50 ai 70). Non ho mai scaricato nulla dalla rete perchè la copertina con le sue note sono per me di fondamentale importanza: conoscere il produttore, l’etichetta, lo studio di registrazione, fa parte di quella cultura musicale che ora purtroppo sta scomparendo. Attualmente sto ascoltando e consiglio Florence & The Machine, sto riascoltando i Dodos e, a seguito del concerto dei Black Angels, tutta la scena psichedelica americana degli anni ’60… spettacolare!