Colore Perfetto – Il Debutto

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Colore Perfetto, da Perugia, trio di alternative rock/pop con cantato italiano. Un debutto, anzi ‘Il debutto’, che per alcuni versi non è la miglior partenza per una band. Non è mai facile bollare un lavoro come mal riuscito, ben sapendo gli sforzi che ci sono dietro, il tempo, la fatica. Ed effettivamente questo disco non è affatto mal riuscito: ben suonato, preciso, senza sbavature, ben registrato e prodotto, con testi sicuramente non scritti di fretta solo per farli. Ma nonostante questo qualcosa manca e così finisce per perdersi con grande facilità nel mezzo di una quantità spropositata di lavori “simili” come resa finale. Quindi qual è il senso di parlare di un disco “come tanti”, un disco “medio” che si confonde nella massa quando sono gli estremi (capolavori o spazzatura) ad attirarci, a coinvolgerci, a darci qualche emozione (buona o cattiva)? Dopotutto il mare magnum della “mediocrità” (magari con ampie distinzioni tra filo d’acqua e abisso) domina la musica e volenti o nolenti avremo a che fare con dischi come ‘Il debutto’. Ma allora cos’è che non funziona qui dentro? Tutto e nulla: è un disco senza picchi o cadute. Prendete i testi ad esempio, dicevo che sono curati, ma hanno anche la caratteristica infida di attaccarsi come mastice alle musiche cosicché il grumo che ne consegue (qualcuno potrebbe trovarlo di suo gusto, delizioso, io non lo nego e come dicevo non è poi così male) riflette le stesse sensazioni che si ritrovano in quelle parole: “La distanza tra quel che penso e quel che faccio è troppo (sic!), mi sono perso su un discorso senza senso”, “Cerco ancora cerco non so che cosa […], i miei pensieri labirinti infiniti che tornano ad un unico punto”, “Un giorno qualunque”, “Immobile attendo”, “E poi tutto ritorna come prima, “Come faremo a riprenderci quello che è nostro?”. Tutto questo tipo di rassegnazione apatica (di eco tardo adolescenziale) si attacca alla musica rendendo rassegnato (e in parte apatico e annoiato) l’ascoltatore. Non c’è gioia, non c’è dolore, pericolo né serenità: il risultato finisce per appiattirsi su se stesso nonostante gli sforzi e che sia probabilmente anche un problema di suono e arrangiamento è indubbio. E chiamare Moltheni per cantare in due pezzi non è ovviamente la soluzione. Proprio una loro canzone rende bene quello che cerco di dire: “Rimbalzo su sagome dipinte, poco spessore di profilo, non ho più niente da dire. Mi sembri lontano nonostante la mie fatiche”. Si fatica ad ascoltare, non tanto per il contenuto in sé, quanto in parte per la forma ma soprattutto per lo spirito di questo ‘Il debutto’, il cui colore è tutt’altro che perfetto.