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Sono gli anni del dubstep, di Landstrunz che la insozza di sincopi hiphop e di synth acidi, di Benga che la riporta alla negritudine, delle derive etno di Shackleton e Dusk e Blackdown, e tutti torniamo assuefatti alla cassa dritta e ai bassi belli tondi. E tutto quel rigoglio dell’elettronica intelligente – e, diciamocelo, talmente cerebrale da annoiarci, mentre con un sorriso di plastica affermiamo che beh, sì, geniale, disturbante, dispari, aliena – dov’è finito? Abbiamo davvero voglia di saperlo? Aaron Funk è diventato parossistico nel suo ritmo di pubblicazione di ritmi non convenzionali? Lasciando queste domande sospese come è giusto che siano, ci tengo a spazzare via i presupposti che vi sono venuti in mente: non si parla di dubstep, non si parla qui di semplice e sterile IDM da bpm vertiginosi e vezzi da compositori schizoidi. Nel 2007 Leonardo Barbadoro se n’era uscito con un esordio a fuoco e a tratti animato da un’ingenuità (che poi è un’anagramma di genuinità, a voler giocare alla pari con i titoli del disco) decisamente promettente. Quasi due anni dopo, mi trovo tra le mani un jewel case più professionale, questa volta pubblicato sotto l’egida di EVES Music, contenente il logico sviluppo di quel sound personale e ben bilanciato, ora anche a livello di produzione e mastering; ‘Melodies Fork Now’ si presenta con meno urgenza, mostra sapientemente le armi a disposizione senza giocarsele tutte insieme a ritmi vertiginosi, e guadagnando in questo modo sia in varietà che in maturità. Ovvio, certo, i nomi tutelari sono quelli: Aphex Twin nelle atmosfere e nel gusto compositivo, Squarepusher, Vsnares, ma anche una certa vena cinematica di fondo, quasi a riprendere delle progressioni al limite del post-rock più elettronico (vengono in mente con facilità degli ipotetici 65daysinstatic riuniti qui in un solo paio di mani, sentite il finalone di The Bind Beam Fuck!) che sfocia a tratti in echi e silenzi più ambient. Zuoel if Pick prepara con delicatezza il flashback di The Cowboy, effettivamente molto vicina a certi episodi AFXiani – mi pare che Crying in Your Face possa essere una possibile, magari inconsapevole ispirazione, ma le citazioni ci piacciono sempre quando sono servite a modo. Gli archi della successiva Doppelgänger ci ricordano che siamo di fronte ad un’opera estremamente ramificata e complessa, così come ben illustrato dalle illustrazioni del package: fa piacere quindi ritrovare quelle parti di violino che arricchivano anche il debutto omonimo e lasciarsi trasportare per tre quarti d’ora di grande elettronica tra sprazzi di drum’n’bass, jungle, synth acidi, intermezzi pianistici e una cura per arrangiamenti e dettagli che riflettono la dedizione e l’impegno di chi nella musica ci vive. Promessa mantenuta.