Le interviste con il Maestro: Sufjan Stevens – The Age Of Adz

Cercando una nuova forma di recensione abbiamo pensato di interrogare il Maestro di Bon Giovi su di un album, in questo caso l’ultimo di Sufjan Stevens. Lo abbiamo incontrato, con il suo colbacco, gli occhiali fumè e il suo bicchiere di retsina in un locale segreto. Le sue risposte spesso ci hanno lasciati interdetti, ma nondimeno le abbiamo percepite come pregne di verità.

Etichetta: Ashmatic Kitty
Data di Uscita: 12 Ottobre 2010
Web: Sufjan Myspace
Acquista:12,40€ – Amazon.it

Rocklab: Maestro, dunque, The Age of Adz è uscito un pò a sorpresa, anticipato da un EP magniloquente, All Delighted People. L’attesa per il seguito di Illinois era spasmodica. Visto e considerato che pare Sufjan Stevens abbia passato un periodo un pò difficile e discograficamente schizofrenico, pensa che questo disco sia il risultato di una forte pressione e/o aspettative?
Maestrodibongiovi: Guarda ho in proposito un aneddoto che potrebbe essere utile per farsi un’idea. Pare che Sufjan abbia provato a spedire il demo del disco alla sua casa discografica via telegrafo, tradotto in codice Morse. Lo voleva chiamare Demo Morse-lli, in onore di un suo grande nume tutelare.

R: Sufjan Stevens ai tempi di Michigan aveva lanciato il suo progetto di fare un album per ciascuno Stato americano e infatti dopo uscì Illinois. Pare che poi egli stesso abbia dichiarato che la cosa era uno scherzo promozionale. Ad ogni modo, se lei dovesse fare uno sforzo immaginativo, che Stato sarebbe The Age of The Adz?
M: Un po’ M.I.A. e un Paul Anka. Direi sarebbe lo Sri L’Anka.

R: L’autore pare abbia dichiarato che si era stancato di fare musica indie-folk con banjo e trombette e infatti ha sfoderato un album stracolmo di elettronica ed arrangiamenti orchestrali. Una nuova direzione artistica deve sempre essere preceduta dall’auto-rinnegamento?
M: No, diciamo piuttosto che è stato vittima di un tipo particolarissimo di paranoia artistica: il banjo-jumping

R: …Si…In realtà il primissimo album di Sufjan Stevens, Enjoy Your Rabbit, era un disco elettronico. Guarda caso uno dei suoi ultimi progetti è stato reinterpretarlo, insieme ad Osso, in chiave orchestrale. Potremmo parlare di “depistaggio acustico” per quanto riguarda una parte della sua produzione? Qual’è il vero Sufjan?
M: So di cosa parli. Jon (Bon Giovi) una volta era in crisi alla ricerca di un suono, che poi era quello tipico dell’impatto di un’automobile con un pedone. Le prove fatte sia su strada che in studio avevano l’inconveniente di queste fastidiose urla di interferenza prima dell’impatto. Così sono ricorso anch’io ad un despistaggio acustico con l’osso. Mentre un cieco attraversava la strada guidato dal bip del semaforo e dal fido cane, ho lanciato un osso nella direzione opposta. Il risultato perfetto lo abbiamo adoperato, registrato al contrario, sul brano In These Arms (in Keep The Faith).

R: Inquietante. Ehm…tornando a Sufjan, alla sua storia personale, durante la composizione del disco pare ci sia stato un lungo periodo di degenza, affetto da un virus non meglio specificato. A me sembra questo un disco molto “febbrile”, lei che ne dice, quale “influenza” trasmette?
“il Maestro a questo punto si alza, si guarda attorno e poi si risiede. Di fronte al mio sguardo interrogativo, punta il dito avvizzito ma gagliardo sul mio foglio, sulla parola “febbrile” e aggiunge..”
M’arzo. “(segue lungo silenzio)

R: E’, come molti dicono, il suo Kid A?
M: Si hai detto bene, è il suo K-Way. E’ la risposta di Sufjan ad Umbrella di Rihanna. (Siamo basiti)

R: Si tratta del primo un-concept album di Sufjan Stevens. Cosa vuol dire, che si sta normalizzando o che al contrario, l’isteria del genio sta avendo la meglio sull’idea creativa?
M: Guarda che ti sbagli. E’ un concept album anche questo. E’ chiarissimo. E’ tutto incentrato sulla figura retorica della moglie di Mike Patton.

R: In Vesuvius, Sufjan in un dialogo interiore dice a se stesso “Sufjan, follow the heart”, ma non le sembra che al contrario The age of Adz sia un’opera molto (troppo) cervellotica?
M: Attenzione perchè Sufjan non parla con se stesso ma cita una missiva del nostro Ministro dei Beni Culturali, Sandro Bondi, che lo esorta ad esorcizzare lo spauracchio del Vesuvio, sulla falsa riga di quello che, come tutti voi sapete, accadde per  Funiculì Funiculà.

R: Cosa ne pensa del fenomeno di un neo-barocchismo nel pop, tipo Owen Pallett, Nico Muhly o anche il disco di Jonsi? Solo sporadici megalomani o qualcosa a che fare con lo Spirito del Tempo?
M: Solo sporadici spocchiosi onanomani.

R: Infine la domanda che le faremo sempre. Lei sostiene che Jon Bon Jovi sia stato, grazie anche a lei, il musicista segretamente più influente della musica contemporanea. Potrebbe esattamente dirci dove possiamo rintracciare questa influenza in The Age of Adz?
M: Devi sapere che per fare l’intro di Bed Of Roses, Jon, che amava molto sperimentare, provò quest’immersione del Mi Cantino per 68 ore nell’Ovomaltina, ottenendo quel particolarissimo suono smaltato che lo ha reso tronfio. Sufjan conosceva questo antefatto e ha immerso nell’ovomaltina la scheda audio del suo Mac, guadagnandosi il premio di cliente del mese all’Apple Store di Cincinnati.

R: Grazie, Maestro, è stato veramente un onore.
Poco prima di rispondere al nostro saluto il Maestro fa per alzarsi, prende la mia copia promo del disco la mette sotto la mia birra ed esclama: “in questi pub non ci sono più le buone maniere di una volta…”
M: Si, beh, ora però levati dalle palle che c’è Cinematografo.

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