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15 febbraio 2011 | ThrillJockey | myspace.com/arboretum |
When Delivery Comes (versione acustica di Dave Heumann)
Sa essere sacrificalmente ancient tra fiotti neri e aciduli schematismi presi in prestito dal Libro Rosso di Carl Jung, osa dove gli altri depongono il rispetto di una costante rivalutazione dei rovi e dei salmastri della tradizione folk inglese, canta quello che di metafisico assume nelle lunghe notti snobbate dalla luna; “The Gathering” il nuovo traguardo sonoro degli americani Arbouretum, è l’ultimo di una serie di album perle che questa formazione capitanata da David Heumann infila come in una collana d’inestimabile valore; i seventies covano sotto le braci, il riverbero contundente della psichedelia sbotta in pompa magna e il serpente sinuoso dello stoner catatonico striscia subdolo alla ricerca di uno sfogo da addentare, e tutto quello che rimane è propedeutico incanto.
Uno straniante afflato storto di Americana che si tinge dei colori di guerra delle Hill dell’Humpshire, è questa l’unica e gran variazione cromatica che prevale e colonizza ogni cm cubo di registrato, e per quanto n’è dato a sentire non si ha bisogno d’altro, basta ed avanza per conclamare uno stato di magica irrequietezza che si fa avamposto riconoscente tra i diavoli angelici di Jerry Garcia, Ozzy e Co., fino alle combustioni mid-folk innescate da Wilco o Warlocks.
Con Heumann, l’amico di vecchia data Allender al basso e i due novizi Matthew Pierce (percussioni e tastiere varie) e J.V.Brian Carey alla “ macchina delle pelli”, ed è una magnifica lotta tra “puzze vintage” e nuove spigolature a gomito dell’alternative, decantate da quelle chitarrone underpressure sintomatiche delle desolazioni desertiche “When Delivery Comes”, ombrosità maledette Younghiane che slittano in “The Highwayman” e l’indubbia travergola di un trip Hoffmaniano appena calato in gola a “Waxing Crescents”, tracce che assumono per intero le sembianze sciamaniche di rituali inconfessabili, forti e blindati dietro a coralità evocative e lacerazioni elettriche che sanguinano copiosamente.
Qui il folk non è inteso come bagordo di cinguettii e danze campestri, è solo il tratteggio di un sogno/delirio/incubo che si fa compiuto, vero e vicino; con i Kyuss infilzati in qualche anfratto dell’anima e l’essenza di un dio indiano nativo nel sangue, gli Arbouretum confermano pienamente il flusso continuo di un magma personale che gia nei precedenti “Rites Of Uncovering” e “Song Of The Pearl” aveva tranquillamente minacciato di buono l’America dei contrari.
Qui dentro il nero è un colore abbagliante.