Questa rubrica nasce come una galleria degli incidenti più clamorosi in cui mi sono imbattuto.
Li condividerò con tutti i lettori di Rocklab, perchè “ci sono più cose assurde nell’industria discografica, Ed Wood, di quante può sognarne la tua filmografia”.
I governi crollano, le carriere politiche muoiono, ma la musica neomelodica è per sempre. Non importa quanto il mondo sia contorto e ineffabile o quanto la realtà sociale si faccia via via più dinamica e tumultuosa: i nostri inossidabili partenopei, armati d’uno stoicismo quasi commovente, continueranno a cantarci storie di latitanti, madri addolorate, devozioni mistiche, guappi, scugnizzi, isso, essa e malamente, con l’enfasi melodrammatica di chi è costretto a convivere con sciagure quotidiane come la camorra, la monnezza e i musical di Mario Merola.
Deve saperlo molto bene Silvio Berlusconi, a giudicare dall’uscita della sua ultima fatica discografica in collaborazione con Mariano Apicella. Il messaggio è inequivocabile: sticazzi se il tuo declino umano e politico è completo e se il sistema di cui hai fatto parte sembra avviato verso l’implosione e lo sfacelo – al contrario del Sistema, che invece continua a prosperare: la canzone napoletana, così serafica ed imperturbabile, sarà sempre un’oasi in cui rilanciare l’immagine d’inguaribile romantico latino un po’ guascone che ti contraddistingue!
Impressionati da un tale sfoggio di candore, abbiamo deciso di dedicare uno speciale di Jokebox alla terra che ha dato i natali a Totò, Peppino De Filippo e Massimo Troisi, ma anche a Ninì Grassia, Gigi D’Alessio e Tommy Riccio. Quella con cui vi delizieremo oggi, però, è un’altra napoletanità, ben diversa dal folklore con cui siamo soliti identificare i nostri amici napoletani. Prendete ad esempio questa cover e ascoltatela con attenzione:
Nino D’angelo – Gesù Crì
Come non ravvisare nel testo l’immagine d’una Napoli saldamente ancorata a secoli di tradizione, sebbene con lo sguardo teso verso epoche lontane, generi musicali alieni, culture difformi?
Deve aver suscitato un comprensibile scalpore nel giovane Nino D’Angelo la celebre dichiarazione di John Lennon secondo cui “il cristianesimo scomparirà. Si ridurrà e svanirà (…) Adesso noi Beatles siamo più popolari di Gesù Cristo”.
Lacerato tra l’amore per i fab four, la fedeltà alle proprie radici catto-etniche e le provocatorie dichiarazioni dell’hippie blasfemo, il buon Nino s’è scervellato per assemblare un compromesso accettabile, qualcosa che gettasse un colpo di spugna sull’intollerabile onta subita dal padreterno pur conservando quella maestria melodica che ha proiettato gli scarrafoni nella leggenda. Il risultato – per lirismo, coraggio e intensità – rivaleggia con gli esperimenti d’ingegneria genetica operati dai Cccp sull’impianto della canzonetta tradizionale emiliana. E non mi si venga a sottolineare malignamente che i Cccp attingevano al repertorio di artisti ben più dignitosi e temerari: gli Einsturzende Neubauten, i Neu!, i Cabaret Voltaire. Ogni volta che ascolterete questo brano, maledetti radical chic, ricordate e fate ammenda: il vostro beniamino Ferretti ha impiegato una vita e svariati album di cacca per restare folgorato dal potere taumaturgico di Gesù Cristo, mentre Nino D’Angelo c’era arrivato fin dall’inizio e ha sempre mantenuto un’ammirevole coerenza!
Ma Napoli non è solo venerazione liturgica, ma sa anche indagare temi controversi, come l’emancipazione dei giovani e le problematiche connesse.
La piccola Anna – giggino o bello
Melissa P ha svelato all’italiano medio una verità che dovrebbe suonare lapalissiana per chiunque sia stato adolescente dagli anni ’50 in su, ma che le vecchie generazioni stentano ancora ad accettare: la gagliarda gioventù italica se ne frega dei tabù ed è sempre più disinibita ed intraprendente nell’allacciare rapporti con l’altro sesso.
La piccola Anna, con una canzone-inno dedicata al suo innamorato Giggino, spinge questo assunto alle estreme conseguenze e ridefinisce completamente il concetto di precocità. Giggino o’ bello, proprio come il personaggio di Joe Pesci in Godfellas, è inarrestabile, una vera mina vagante: se gli dai uno spintone, lui senza scomporsi ti piglia a bastonate. Se osi guardare la sua ragazza, non ci pensa due volte a mandarti a medicare con 4 punti in fronte.
Giggino o’ bello “è guappo, fresco, tosto e prepotente, e il suo soprannome è o’ malamente”. Insomma, Giggino o’ bello sarebbe il tipico macho virile che non deve chiedere mai, se avesse raggiunto la pubertà. Il fatto che lo si veda scorazzare spavaldo in sella ad una Harley Davidson dovrebbe suggerire che è un figo della madonna, un temperamento indomito che neanche James Dean e Lorenzo Lamas messi insieme, ma tu guardando questo bimbetto paffuto non riesci a pensare ad altro che alle biciclettine della chicco munite di rotelle posteriori con cui ti sei sbucciato le prime ginocchia ad 8 anni.
La piccola Anna ancheggia spasmodicamente, ammicca maliziosa, e in generale fa di tutto per apparire come una futura pupilla di Maria De Filippi, ma come credibilità non è da meno:
provate a togliere l’audio alla sua performance e improvvisamente vi sembrerà di rivedere il piccolo coro Mariele Ventre alle prese con l’esecuzione del “torero camomillo”. Un video musicale per prelati fini, insomma, eguagliato solo dalla controparte maschile della piccola Anna: il piccolo Nardi.
Il piccolo Nardi – Annamurata mia
La canzone del piccolo Nardi ha il pregio di sublimare una delle ansie più terribili che attanagliano l’uomo moderno: il complesso di castrazione. Bei tempi quando c’era He-Man e la donna era subordinata e remissiva, un docile angelo del focolare. La società contemporanea avvelenata dal femminismo post-68ino ha scombinato le sane gerarchie di genere, e i nefasti risultati sono sotto gli occhi di tutti gli esseri fallomuniti: la donna d’oggi ambisce ad essere uguale all’uomo, si pone in concorrenza diretta con esso, avanza pretese in famiglia, sul lavoro e perfino tra i banchi delle scuole medie durante la ricreazione! “L’annamurata mia è sveglia, è una piccola guappa ed è meglio non averci a che fare!” canta sconsolato il piccolo Nardi, mentre la diabolica consorte s’avvicina brandendo minacciosamente un paio di forbici in direzione del suo “pesce” (una sardina, probabilmente, vista la giovane età del soggetto). Consola sapere che l’ormai non più piccolo Nardi non avrà più nulla da temere: laddove si trova adesso, rinchiuso nel carcere di Poggioreale per traffico di cocaina, nessuna malafemmina minaccerà i suoi attributi.
A proposito di droga, è curioso che questo tema nella produzione musicale napoletana sia spesso liquidato frettolosamente, con pochi cenni distratti, qualche canzone che denuncia con la solita lagnosa retorica la pericolosità di certe sostanze e molte di più che fanno aperta apologia del consumo di cannabis. Tra queste ultime potremmo citare “ò spinello” di Nino D’Angelo – un reggae d’annata – o il pezzo omonimo di Tony Mastrangelo – caratterizzato da uno straniante sottofondo caraibico. La canzone che voglio proporvi si inserisce di prepotenza nel filone ed è un vero babbà dell’antiproibizionismo alla pummarola:
O spinellato – Pino diò
La prima vistosa anomalia è il look del cantante. Scordatevi il tipico neomelodico impomatato, ingelatinato e conciato in stile venditore-di-capitoni – al-mercatino-di-quartiere: Pino Diò ostenta orgogliosamente una chioma leonina ed un gilet di cuoio talmente tamarro che perfino Freddie Mercury si vergognerebbe ad indossarlo per un Gay Pride tra le strade di Rio. Ma siamo solo all’inizio: non pago del suo discutibile biglietto da visita, il nostro eroe si lancia in un’accorata esaltazione dello spinello che non trova riscontri perfino tra i peggiori centri sociali bolognesi. “Quando fumo sto tranquillo pure quando sto incazzato, con un po’ di fantasia penso cose allucinanti” dice compiaciuto, per poi incalzare “mi fumo un cannone grosso quanto un bastone, che mi tira su il morale e faccio cose un po’ speciali!”. Non c’è dato sapere, purtroppo, in cosa consistano queste cose “un po’ speciali”, ma si sa, il formato canzone impone limiti stringenti e certe ipotesi è meglio lasciarle alla fantasia dell’ascoltatore. Il momento topico, però, lo si raggiunge quando l’impareggiabile istrione, visibilmente sotto effetto di stupefacenti, s’avvicina ad un eroinomane, gli strappa la siringa di mano e la sostituisce con un enorme joint, perché “il fumo d’un cannone caccia via tutti i problemi!”. Grazie Pino Diò, sei l’assistente sociale che tutti i tossicodipendenti vorrebbero nel proprio Sert di fiducia.