Le Luci della Centrale Elettrica @ Hiroshima Mon Amour (TO) – 10/2/2012

Attitudine e visual: sono passate le 23 quando Vasco Brondi si presenta on stage ed imbraccia la compagna di sempre, l’ormai celebre chitarra acustica coi pezzi di scotch slabbrati a lato. Con lui sul palco il chitarrista Lorenzo Corti, il bassista Giovanni Ferrario e il batterista/percussionista Sebastiano De Gennaro: Le Luci della centrale elettrica possono finalmente accendersi. E sono blu! Un’aura azzurra avvolge il combo che parte a suonare in una suggestiva coltre bluastra, che poi si dissolve lasciando intravedere la formazione a quattro. La performance live, com’era prevedibile, è decisamente più impattante che su disco. Per il resto di fronzoli ce ne sono ben pochi: Brondi non è il cantautore “seduto sulla seggiola” degli esordi, anzi, è uno spirito inquieto che grida ogni canzone, si dilania a bordo palco e scorrazza pure tra il pubblico, regalando uno show coinvolgente anche dal punto di vista visivo e fisico.

Audio: Brondi è circondato da ottimi musicisti, sicuramente molto in disparte in quanto a presenza scenica, ma validi dal punto di vista strumentale. L’audio è buono, sia nei momenti acustici sia nei lampi elettrificati. A coprire le agonizzanti declamazioni del cantautore sono le grida all’unisono, parola per parola, dei fan, piuttosto che i watt dell’impianto.

Setlist: completa e succosa la scelta della scaletta, che vanta al proprio interno canzoni che sono diventate ormai quasi inni generazionali di questi cazzo di Anni Zero. La particolarità sta nel compenetrarsi delle canzoni, come un’onda catartica di parole e musica: è innegabile che talvolta le canzoni si assomiglino e Brondi gioca a decostruirle e ricomporle a piacimento, innestando scampoli di testo in altre parti (squisito l’attacco di Cara Catastrofe che si fonde con la “poesia di Vian” di Fare i Camerieri). L’amore ai tempi dei licenziamenti dei metalmeccanici e La Lotta armata al bar sono cantati a squarciagola, La Gigantesca scritta COOP in versione acustica rievoca quei CCCP (numi tutelari per Brondi) omaggiati in seguito dalla (stravolta ma credibile) cover di Emilia Paranoica: rabbiosa ma priva di quella letale frammentazione declamata propria dell’originale. Ci eravamo abbastanza amati (altro “slogan” azzeccato per questi Anni Zero, incapaci di sentimenti totalizzanti e prese di posizione unitarie) traina le canzoni da spiaggia deturpata, conosciutissime dal pubblico, verso l’ultimo materiale targato Brondi, un album di cover (Battiato, Afterhours) e neo-arrangiamenti che diverrà cimelio per i fan. Se Piromani è catarsi generazionale, interessante è il brano Un Campo lungo cinematografico, composto per la colonna sonoro del film indipendente italiano “Ruggine”.

Locura: senza dubbio un intermezzo in cui Vasco rievoca una “storiella di gavetta” legata alla città di Torino: quando ancora era un cameriere part-time che girava con la sua chitarrina di locale in locale in cerca di un ingaggio (con scarso successo), uno dei primi club a chiamarlo fu proprio l’Hiroshima (“questa sorta di meravigliosa ex-scuola elementare”). Le Luci della Centrale Elettrica fu annunciato in cartellone come opening-act nientemeno che dell’accoppiata schiacciasassi Zu + Teatro degli Orrori! Brondi si presentò con la “sua chitarrina seduto sulla seggiola” e ricorda sorridendo che bastarono pochi accordi perché si levasse il grido “fai cagare” da parte del pubblico in attesa della mattanza noise. Ora quel parterre lo riempie anche lui.

Pubblico: eterogeneo e sempre più numeroso. Brondi ormai è un fenomeno nazionale (la tanto chiacchierata apertura ai live di Jovanotti, criticata in parte dallo zoccolo duro dei club, è stata un esperimento tutto sommato interessante). Ci troviamo in un parterre ormai svincolato dalla nicchia, con i pregi e i difetti del caso. Se ridi durante Produzioni seriali di cieli stellati forse non hai capito un cazzo.

Conclusioni: Per capirlo a fondo, il bagliore de Le Luci della Centrale Elettrica, deve accecarti dal vivo. Se l’opinabile accusa di un mood un po’ monocorde è alla lunga rintracciabile, è palese la struggente emotività dei live di Brondi, che distilla dislessiche emozioni tascabili, fatte di cose tangibili immerse in uno stream of consciousness dal quale si rimane irretiti. Lo show procede senza sbavature e Vasco è tutt’altro che timido: introspettivo forse, ma capace di dialogare simpaticamente col pubblico, desideroso di introdurre i propri pezzi, insomma di comunicare davvero qualcosa. E ci riesce in maniera davvero personale.

La frase: “Grazie a tutti. Mi raccomando qualche volta dormite vestiti e fate quello che volete”

Foto di Fabio Marchiaro