Dal ‘No Future’ al ‘No Present’: l’intervista alle Winter Severity Index

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In Aprile, l’uscita del loro ‘Slanting Ray‘ ha migliorato le giornate di molti, tra cui quelle del sottoscritto. Dark/wave e Post/Punk, Passione e condivisione emozionale. Bene, dopo l’analisi del disco, ecco le domande a Simona Ferrucci:

So che da quartetto siete passate a un duo, immagino per i tanti progetti paralleli, vi va di raccontarci cosa si respirava agli albori del progetto? lo spirito primigenio insomma.

Lo spirito primigenio era semplicemente suonare la musica che ci piaceva, condividere delle emozioni fra persone che si volevano bene oltre che suonare assieme. Tuttora è assolutamente così. Continuo a fare la musica che mi piace con le persone che mi piacciono. E mi riprometto di seguire sempre questo intento. Non saprei fare altrimenti, del resto.

La prima data, quella di Taranto al Gabba-Gabba, come fu?


La nostra prima data non è stata al Gabba-Gabba di Taranto, non so come si sia diffusa questa informazione, ma non è esatta. E’ stata la prima data ad essere prenotata dagli organizzatori, ma non la prima che abbiamo fatto. Prima del Gabba-Gabba abbiamo suonato più volte a Roma e poi a Lisbona, nell’ambito del Graveyard Festival, appena una settimana prima di Taranto. Ricordo com grandissimo affetto quelle prime date. Sono state tutte molto emozionanti per noi, per non parlare di quanti episodi divertenti possono essere ricordati legati ad ognuna di esse.

Riflettendo sulla natura di un sentimento, in questo caso parliamo di malinconia, mi sono reso conto che sono esistiti periodi, diciamo dei decenni, nei quali determinati modi di ‘sentire’ la vita e la scena musicale diventarono totalizzanti anche per le grandi masse. Capitò con il Punk, con la Wave e poi con il grunge. Come vi rapportate a tutto questo e cosa ne pensate?

Effettivamente accade proprio che un determinato sentire pervada un’epoca e ciò si manifesti in varie maniere e forme. La malinconia e in generale il senso di nostalgia sono indubbiamente costante dei nostri giorni. Penso, molto semplicemente, che questo sia dovuto , oltre che a una totale mancanza di prospettive per il futuro da parte della nostra generazione, a una totale mancanza anche di senso della contemporaneità. Se il motto del Punk era “No Future” noi potremmo benissimo dire anche “No Present”. Mancanza totale di possibilità progettuale che si accompagna, quindi, a un vivere la quotidianità in maniera alienata, in cui qualsiasi rapporto umano passa attraverso il filtro del web 2.0, in cui il confine fra finzione e realtà si assottiglia sempre più pericolosamente. L’instabilità mentale penso sia in forte ed esponenziale aumento, così come un ripiegare dolorosamente verso periodi in cui le emozioni erano realmente tali. La nostra infanzia, la nostra adolescenza, in fin dei conti. Molti trentenni si sentono vecchi prima di essere stati passati per la maturità. Dall’infanzia alla decadenza, senza passare per l’età adulta. E’ terribile. Ma terribilmente vero. Non vorrei scadere nel cliché del catastrofismo, ma in tutta sincerità penso che la società occidentale sia arrivata al suo effettivo tramonto.

Troppo spesso – Mannaggia a te Reynolds Ndr-, capita di sentire giudizi spesso sommari nei confronti di opere che manifestano senza esitazione alcuna il proprio amore per un suono che appassionò scene passate. Non trovate che questo discorso, a mio avviso forzatamente retromane, a volte non faccia altro che ledere le qualità di moltissimi artisti?

La retromania, a quanto pare, non investe soltanto i musicisti, se gli stessi critici musicali non smettono mai di fare confronti con quello che c’è stato in passato e basano le loro considerazioni sempre e soltanto su confronti e reminiscenze. Difficile uscire da questa impasse…E come uscirne, del resto? Il nostro giudizio si costruisce in base a schemi mentali che abbiamo costruito negli anni, inesorabilmente dipendenti dalle esperienze d’ascolto che abbiamo fatto. Ciò vale sia per i musicisti che per i critici. Mi fa sorridere chi cerca ancora delle novità…Mi viene in mente il verso di Ferretti in Emilia Paranoica: “Aspetto un’emozione sempre più indefinibile”. Forse l’unica maniera per liberarsi da questo gioco infinito è quello di basare le proprie considerazioni su parametri più universali, meno legati a un orizzonte storicizzato degli eventi culturali.

Come avete conosciuto Pierluigi Ferro? la sua performance in ‘Ordinary Love’ mi ha lasciato a bocca aperta.

Ho avuto modo di apprezzare il modo di suonare di Pierluigi nel lavoro di Macelleria Mobile di Mezzanotte Black Lake Confidence, un disco eccezionale a mio avviso. Pierluigi aveva poi da poco collaborato anche con i nostri amici Der Noir nel brano The Forms, nel loro ultimo album Numeri e Figure. Quindi mi è venuto spontaneo pensare a lui quando, durante la fase compositiva di Ordinary Love ho pensato che la voce di un sassofono sarebbe stata risolutiva. Il risultato è stato grandioso. Pierluigi è una persona discreta e modesta quanto un musicista talentuoso.

Posso immaginare il vostro percorso: adolescenza, palate di Post-Punk e Wave, The Sound e Siouxsie. Quando vi siete accorte che a tutto questo potevate aggiungere la vostra versione dei fatti?

A questa domanda posso rispondere solo parlando della mia esperienza personale. Il mio percorso come musicista è iniziato molto prima dell’incontro con le mie compagne di viaggio in Winter Severity Index. E quindi posso dire: adolescenza, palate di Post Punk e Wave e subito la necessità di dire qualcosa in proposito. Comprai la mia prima chitarra elettrica a quindici anni. Ne è passato di tempo da allora: cominciai con le cover dei gruppi che amavo, in primis gli U2, di cui conoscevo il repertorio dei primi dischi a memoria, poi The Cure, Joy Division, Siouxsie et cetera…Le prime composizioni risalgono proprio a quell’epoca. Ultimamente ho ritrovato quelle vecchie cassettine con le mie prime rudimentali registrazioni: niente male! Avevo decisamente una vena Neo Folk senza sapere cosa fosse il Neo Folk…Comunque il progetto di un gruppo con cui sviluppare musica originale è divenuto una sorta di ossessione soltanto negli anni dell’università. La mia collaborazione con Diana Salzo, bassista nella prima formazione di Winter Severity Index, risale a quel periodo. Quasi dieci anni fa, oramai. Sì, insomma, l’esigenza compositiva è nata molto presto. Concretizzarla in un progetto è stato molto molto più complicato. E tuttora lo è, sia per una mia tendenza alla feroce autocritica, sia perché gestire le esigenze dei vari componenti di un gruppo è veramente difficile.

Il vostro lavoro esce per Manic Depression/Blood Rock Records, com’è nata questa collaborazione?


La nostra collaborazione con Blood Rock Records è nata un anno fa, con la pubblicazione dell’EP Survial Rate. L’etichetta di Enrico è veramente una realtà rara quanto preziosa, Enrico è una persona che ama la sua attività e le sue produzioni in vinile ne sono lo specchio lampante, curatissime in tutti i dettagli. Jean Louis Martel di Manic Depression ha manifestato molto presto interesse nei nostri confronti, cosa che mi ha spinto a sottoporre alla sua attenzione il nostro primo full lenght. Manic Depression è un’etichetta storica della scena dark wave e gothic europea, si è guadagnata negli anni grande visibilità e rispetto. Altre band di Roma sono nel loro roster, siamo tutti veramente orgogliosi di esserne parte. La collaborazione fra le due etichette è stata una diretta conseguenza. Esse avevano del resto già ottimi rapporti fra loro. Quindi è stato facile per loro accordarsi per una co-produzione.

L’estate è già cominciata da un po’, quali saranno le prossime date live?

L’estate non è un momento particolarmente florido per chi non fa musica da puro intrattenimento, come noi. Quindi per ora non ci sono molte date in programma. Ce ne sono però già per la stagione autunnale: suoneremo a Vienna il 20 Settembre, ad Angouleme il primo Novembre nell’ambito del festival La Nuit Fantasma Gothic, da confermare sono le date di Rennes e di Parigi.

Simona, Alessandra, ci fareste una top ten Dark-Wave in merito ai dischi che maggiormente vi hanno ispirato?

Dieci sono pochi, ma ci proviamo. Non li metteremo in ordine di importanza, però, sono tutti ugualmente nel nostro cuore:

Garlands – Cocteau Twins
Dead Can Dance – Dead Can Dance
Movement – New Order
Unknown Pleasures – Joy Division
Faith – The Cure
Ambition – The Danse Society
Script of the Bridge – The Chameleons
Under a Blood Red Sky – U2
Echelons – For Against
From the Lion’s Mouth – The Sound

Trovo fantastiche le grafiche e soprattutto la cover dell’album, chi se n’è occupato?

Se n’è occupato Giovanni Staccone, che è poi anche il nostro bassista nelle esibizioni live. Giovanni è un grande graphic designer oltre che un grande musicista. Il suo apporto al nostro progetto è veramente prezioso e gli siamo enormemente grate.