AA. VV. – I Saved Latin! A Tribute To Wes Anderson

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L’opera di Wes Anderson è una costante pistola puntata sulla sensibilità umana: non vi sono altri  secondi sottofondi, malintesi retorici o sotto-significati astrusi. È tutto limpido e infantile – in un senso liberatorio, ovviamente; i film del regista statunitense di cui si va discutendo sono un annullamento nello spettatore della maturità – quella più infima – in grado di racchiudere in stretti recinti i liberi giochi associativi della mente umana. L’apoteosi dell’Infanzia, come personificazione, come Venere ritta al centro di un ritratto: il tributo per eccellenza all’innocenza e alla purezza. Tutto in Wes Anderson deve essere – seguendo questo ragionamento – diretto, magnetico: colori accessi, personaggi marcati da contorni netti, temi stravagantemente ordinari, e ovviamente musica della migliore tradizione. Quest’ultima, infatti, è quella che riesce a dare maggior volume e risonanza alle necessità espressive del regista: e il rock vince su tutto. La temerarietà baldanzosa dei piccoli eroi protagonisti dei suoi vari film (dove piccoli vuole stare sia come punto di riferimento sociale, sia come indicazione anagrafica) ribolle nelle varie ballate, nelle canzoni d’amore francesi o nei pezzi rock pronti a infuocare adolescenti dall’animo anni ‘60. E allora perché non mettere in risalto questo aspetto musicale in un disco tributo? Un elogio a colui che elogia il gioco: il risultato non può che essere sinistramente entusiasmante.

Oggi riguardando Un Colpo da Dilettanti – l’esordio sul lungometraggio – mi sono ritrovato a canticchiare Alone Again Or dei Love, reinterpretata qui da Sara Lov (gioco linguistico malcelato): già nota ad esempio per la cover che fece di My Body is a Cage degli Arcade Fire. I think that people are the greatest fun, si canta nel classico contenuto in Forever Changes, mentre sullo schermo si consuma una timidissima scena d’amore: pezzo decisamente fondamentale della storia del rock (per ogni adepto al genere) che si unisce agli affannati esordi registici di un uomo che sarà tra i più influenti nella sua arte. Un Colpo da Dilettanti non è certo un capolavoro, non è stilisticamente rifinito come quelle che saranno le sue future produzioni; ma è evidente come tutto sia pronto a implodere: amore a prima vista, rapinatori che soffrono di cuore, gentilezza e fragilità dei rapporti umani, in particolare qui nella relazione che intercorre tra la bella Inez (che non sa parlare inglese) e Anthony, da poco uscito da un ospedale psichiatrico.

Ecco invece che con Rushmore iniziano ad entrare in gioco personaggi geniali (degni del MIT) e lo stile si perfeziona, tanto da raggiungere picchi simili a quegli standard estetici ai quali Anderson ci ha abituato anche con i suoi ultimi lavori. Apertura con Margaret Yang’s Theme – nel Nostro tributo in una versione smaliziata dei Someone Still Loves You Boris Yeltsin – e poi (fuochi d’artificio) ecco che arriva anche Oh Yoko, pezzo composto da John Lennon e dedicato a Yoko Ono (my love will turn you on, qui si canta) in una versione ricreata dai The Ghost In You.

Eppure è in quel quadretto di psicanalisi familiare rappresentato ne I Tenenbaum che la poesia cinematografica come commistione raggiunge i suoi vertici. Nessuno potrà mai dimenticare l’intensità di quella scena composta di lamette, capelli e sangue, con tanto di contorno verbale (I’m going to kill myself tommorow), accompagnata dall’agonizzante musica di Elliott Smith, Needle In The Hay: sicuramente tra i suoi migliori pezzi, al quale qui è stato reso onore da Juliana Hatfield, in una versione meno scarna, ma di non minore presenza emotiva; del resto con dei versi del genere non potrebbe essere diversamente – I can’t beat myself, and I don’t want to talk; I’m taking the cure so I can be quiet whenever I want. Ben diverso, eppur sempre lodevole, è il merito di questo film di aver introdotto al mondo Stephanie Says – storicamente meno conosciuto degli altri classici dei Velvet Underground -, rivisitata in occasione di questo I Saved Latin in una chiave molto Nico, molto ruvida, sempre bella. E Nico stessa anche è presente con due dei suoi più grandi capolavori: These Days e The Fairest of the Seasons. La prima riletta in una maniera piuttosto anonima da parte di Matt Pond, la seconda invece riceve la giusta attenzione stilistica da parte dei Trespassers William: i quali donano la naturale grazia femminile, situata al centro tra Daughter e Angel Olsen, a un pezzo di per sé già perfetto, però mancante di questa calma catartica qui aggiunta.

Ora Wes Anderson decide di far decollare le proprie visioni musicali anche a livello stilistico-scenografico: ecco il giallo del sottomarino de Le Avventure Acquatiche di Steve Zissou. Ma quello beatlesiano non è l’unico riferimento ad emergere dalle acque (in tutti i sensi): la truppa guidata da Bill Murray veste in una maniera un po’ particolare, infatti è di chiara ispirazione anni ’80, spudoratamente Devo. Primo film a non presentare nella collina sonora i Rolling Stones, supplisce alla sua mancanza di adrenalina rock, con la bossa nova di Seu Jorge, il quale si diletta a tradurre gran parte dei classi dell’alieno Bowie: e allora a chiudere questo tributo risorge da fiamme brasiliane Five Years, tra i lavori più toccanti del Maestro.

Finalmente arriviamo a quello che (personalmente) è stata la tappa musicale decisiva di Wes Anderson: è il 2007, è l’anno de Il Treno per il Darjeeling. Film particolarissimo, che oltre all’aver introdotto milioni adolescenti al consumo quotidiano del profumatissimo tè dell’India, fece conoscere due canzoni ormai indimenticabili: This Time Tomorrow e Strangers, pezzi claustrofobici che esprimono però le proprie ansie in maniere completamente differenti, divergenti. Il primo caso, quello di This Time Tomorrow, rappresenta quasi un gioco in musica delle proprie manifestazioni di terrore (This time tomorrow where will we be? On a spaceship somewhere sailing across an empty sea); il secondo caso manifesta invece una resa malinconica al sopraccitato sentimento in una ballata moderatamente lenta e deliziosamente commovente, resa qui in maniera magistrale dagli Escondido.

Più o meno in questo punto finisce il nostro percorso musicale, che in realtà è stato a sua volta un omaggio: un omaggio a tutti i gruppi che hanno partecipato a questo grande lavoro, a Wes Anderson e ai suoi meravigliosi film. Di quest’ultimi ce ne sono rimasti pochi da analizzare, pochissime righe, pochissime immagini musicate. Siamo arrivati infatti a Fantastic Mr. Fox, capolavoro d’animazione, dove ritornano a grande richiesta i Rolling Stones con Street Fighting Man (qui dei Mike Watt and the Secondmen, e il tutto si fa molto punk-rock) ed è anche il tempo dei The Bobby Fuller Four con il pezzo Let Her Dance, rimaneggiata in sogno dal gruppo indie-rock Freelance Whales. Unico rimorso: perché lasciare da parte Heroes and Villains dei Beach Boys? Eccessiva complessità? Troppa la paura di doversi mettere a confronto con una delle band più decisive della musica popolare? Probabile.

Approdiamo intanto all’era eternamente pre-adolescenziale di Moonrise Kingdom, e nessuno sembra abbia voluto lavorare nemmeno con le opere di Benjamin Britten (tantomeno con Françoise Hardy), e quindi concludiamo forzatamente questo viaggio – né cinematografico né musicale, ma umano – rappresentato solo a livello visivo dai lavori di Wes Anderson. Sipario.

[schema type=”review” name=”AA. VV. – I Saved Latin! A Tribute To Wes Anderson” author=”Giorgio Papitto” user_review=”4″ min_review=”1″ max_review=”5″ ]