Dry The River – Alarms In The Heart

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I singhiozzi dei martiri e dei suppliziati sono certo una sinfonia inebriante, se i cieli, malgrado il sangue che costa la loro voluttà, non ne sono ancora sazi.

Così recita il Tradimento di San Pietro, poesia sull’umano gioco delle parti, sull’umiltà e il peccato, su pesanti parole giudiziose, ingiuriose come nemici armati, dolci come baci giudei. Ma scomodare Baudelaire è opera forse troppo pretenziosa per noi, e scomodare l’eternamente morente Gesù Cristo lo è allora ancor di più. L’uomo che solo sinfonie inebrianti al cielo gli riuscì di mandare – sebbene fossero in ogni dove aspre come bestemmie -, il cosiddetto poeta del male per antonomasia, si lasciò ispirare da un evento, al quale corrisponde un luogo geograficamente indeterminato, il quale dopo esser passato per le magiche mani di Giotto e Mantegna, torna qui, nel bel mezzo della cultura pop ad arricchirsi di musicalità: Getsemani, liberato da qualsiasi misticismo, anche da quello attribuitogli dal miglior Peter Gabriel in Passion.

Come il giardino qui citato fu un punto nodale della storia della religione cristiana, così in questo album rappresenta un pezzo centrale – il quale ne porta il nome in inglese, Gethsemane -, il più meritevole del disco sopra il quale andiamo qui discutendo. Un’opera che sicuramente possiamo far rientrare a pieno titolo in quel rinato filone folk-rock; e possiamo dirlo con estrema sicurezza: ne sembra essere anche un ottimo rappresentante. 

Alarms In The Heart è un disco musicalmente romantico, felice compagno di queste notti di luna piena e di stelle cadenti: un altro santo, Lorenzo, ringrazia. Riesce ad essere un fedele compagno sentimentale, pur non rinunciando al suo stile più animalesco e rock (Rollerskate; Everlasting Light); a tradirlo però c’è una sorta di leziosità di sottofondo, che si percepisce solo dopo un certo numero di ascolti (It Was Love That Laid us Low). 

A guardar per bene, è questa una scoperta realizzabile nell’analisi di ogni pezzo presente nella seconda prova dei Dry The River. Prendiamo, per testare questa nostra impressione, la prima traccia, quella che dà il nome all’album: la voce apre un vastissimo mondo musicale ed intellettuale (con delle trovate melodiche spesso simili ai movimenti canori dei Wild Beasts), entrano in un secondo momento però delle scelte stilistiche mediocri negli arrangiamenti e nella scelta di alcuni suoni – pur sempre raffinatissimi (in particolare delle chitarre) – che sembrano rigettare luce su quell’onirismo appena creatosi. Alla stessa maniera con la quale, in un sogno di terre lontane, noi ci ritrovassimo su Marte e incontrassimo per puro caso il nostro parroco a bere birra con dei simpatici alieni: quello che si cerca di dire è che vi sono degli elementi di leziosità che tendono a infrangere quell’impianto surrealistico, metafisico, verso il quale in un primo momento si era stati portati; con il solo risultato di far cadere un’immedesimazione, una visione paesaggistica, che qui sarebbe risultata fondamentale.
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