Les Sins – Micheal

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Questo non è il nuovo disco di Toro Y Moi, purtroppo. Toro Y Moi è un’altra cosa, anche se corrisponde sempre al nome di Chaz Bundick. Il fatto che Chaz Bundick abbia tanti lati lo sottolinea uno dei suoi moniker, quel ‘Sidez Of Chaz’ che esalta ed annuncia la poliedricità del suo titolare. Les Sins è il lato più dance, come Daphni per Caribou, per usare il solito riferimento. Ma già sotto il marchio Toro Y Moi sono state generate idee così diverse tra loro che forse la distinzione tra Toro Y Moi e Les Sins non è tanto tra generi d’appartenenza quanto tra livelli di investimento. Le cose davvero più riuscite, quale che sia lo stile, tendono a convergere nella cartella Toro Y Moi.

Il side project, quando uno è già solista di suo, è un momento di libertà, di rischio da assumersi senza dover compromettere/sputtanare un nome già importante. Questo non vuol dire che sia un esercizio inutile o guidato da chissà quale furberia ma la luce che spesso investe album come Michael è per metà riflessa. Poi sulla capacità di Bundick di stare su bpm diversi, di movimentare il club e mettere da parte la canzone, crediamo non ci siano dubbi e non certo da oggi. L’arte del meticciato, Bundick la pratica a partire dai suoi nomi artistici, accozzando francese e inglese, francese e spagnolo e facendo eco a quella mescolanza di cui questo ragazzo è frutto, quale figlio di una filippina e di un afroamericano. Gli va riconosciuta l’abilità di aver saputo evitare di affondare con tutta la flotta chillwave con la quale era stato giustamente associato all’inizio. Ha fatto prevalere il suo tocco personale, spargendolo per produzioni distanti da quella possibile gabbia ed emergendo nella sua interezza proprio mentre gli altri provavano a restare a galla con tanta fatica e con trovate poco brillanti (Neon Indian, Washed Out su tutti).

E poi è apprezzabile il fatto che Micheal non sia diventato la raccolta dei singoli o delle tracce che a nome Les Sins erano già state pubblicate (anche se Fetch non ci sarebbe stata male). Qui ritroviamo solo ‘Bother’, oltre alla più recente ‘Why’. Ecco, quest’ultima merita un discorso tutto suo perché, a parte il cantato a cura di Nate Salman, è al cento per cento una canzone di Toro Y Moi (potremmo anche dire che è l’unica canzone della raccolta). Fa un effetto tanto spiazzante quanto, per paradosso, rassicurante. È lo speaker che chiama la sua nuova radio con il nome della vecchia. È la strada del lavoro imboccata per sbaglio il primo giorno di ferie. Il resto sono soprattutto strumentali tra house, deep e qualche momento più spregiudicato, vaghissimamente dubstep. E poi c’è Minato, che è un delicato ed onesto assalto. Avercene di opere minori così.
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