Tv On The Radio – Seeds

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Di tanto in tanto, negli ultimi anni, mi sono fermato a riflettere sul perché gruppi d’indubbio valore, ma a mio avviso non stratosferici, come i Tv on the Radio, oppure, e qui scatta la denuncia, gli stessi Arcade Fire, vengano sempre descritti come una “super-ficata-epico-colossale-cioènonhaicapito-urrà”, quando invece servirebbe una critica più realista, il che, me ne rendo conto, cozza abbastanza col postmodernismo esasperato in cui sguazziamo più o meno tutti. Il sottoscritto in primis. Me ne accorgo quando metto nero su bianco arzigogoli di pensieri che nessuno capisce. Nessuno a parte l’omino del crash test che abita nel mio cervello, e che nei momenti meno opportuni mi strilla: “SCRIVI!”. Quando io invece vorrei solo rilassarmi, fumarmi una sigaretta e godermi in tutta tranquillità l’ultima hit di Rosario Muniz.

Riprendiamo il discorso, prima che qualcuno si rompa il cazzo e corra a recuperarsi tutte le annate di Mister Fantasy con Mario Luzzato Fegiz, piuttosto che continuare a leggere una sola riga. Di sicuro la band di Tunde Adebimpe, proprio come quella di Win Butler e Régine Chassagne, ha fatto i conti con lo Spettro della Tradizione. Quel demone che s’impadronisce dei gruppi e li spinge a diventare delle Tribute Band in incognito: “Perché tanto il genere è quello, a noi piace così, non esiste la novità e bla bla bla”.

Visto che, a quanto pare, questa battaglia esiste solo nella mia mente, ed io ne sono l’unico testimone, insieme all’omino del crash test, vi annuncio la vittoria di entrambi i gruppi. Lo Spettro della Tradizione è stato sconfitto. Lo Spirito è salvo. Almeno per ora. Ma i capolavori, quelli di cui ho sentito parlare negli ultimi dieci anni, quelli, a mio modo di vedere, non sono mai arrivati.
Sgombriamo il campo dagli equivoci. Stiamo pur sempre parlando di gruppi d’alta caratura, e dalla fortissima personalità. Ma la sensazione che, in un’epoca in cui proliferano immondizie musicali a iosa, molte più di quelle cantate da Battiato nella sua “Bandiera Bianca”, quei pochi artisti degni di nota siano, per moria di eroi, salutati come salvatori della patria, è forte.

Adesso però dobbiamo mettere da parte gli Arcade Fire, e la loro simpatica azienda di costumi e guardaroba, per spendere qualche parola in più sui TVOTR e sul lavoro che hanno svolto sin qua. Il loro è senza dubbio un universo dark, aperto però, come lo spirito New Wave insegna, alle alchimie più stravaganti. E quindi non c’è da stupirsi se nello stesso disco ascolteremo ‘Kid A’ dei Radiohead in versione Gospel, oppure gli Outkast flirtare con gli Husker Du, o i New Order con la musica soul, il punk-rock con l’elettronica, o ancora, un predicatore nero che annuncia il verbo dei Talking Heads, un attimo prima che si scateni il party del secolo. Se poi il gruppo in questione non esita a dichiarare che le proprie canzoni contengono una critica all’apparato sociopolitico odierno, ponendoci più di una domanda sullo spinoso cammino del progresso, allora la matassa da sbrogliare aumenta. Ma non la sbroglierò qui. Non so neanche se mai lo farò. Mi limito a gettare l’amo. O a piantare il seme.

“Seeds” è il titolo, quantomeno ambiguo, di quello che ad oggi è il quinto full-lenght del gruppo. In che senso semi? Di che si tratta? Di un ritorno alle origini? Di una nuova rinascita? O forse di entrambe le cose? La terza probabilmente. La partenza è di quelle col botto. Certe complicazioni, o prolissità, che in passato avevano reso un pessimo servizio a capolavori mancati come “Return to Cookie Mountain” o “Dear Science” sembrano svanire, abdicando ad un Synth-pop imbastardito a dovere, divertito e divertente. Dopo il Peter Gabriel di “Careful you”, su “Could you” pare quasi di sentire il Bob Mould dei tempi migliori, quelli con Grant Hart. La speranza è che stavolta, oltre a ripetere la tiritera che i TVOTR sono dei fenomeni, ci ricorderemo qualche canzone in più rispetto alle solite tre o quattro. Ma la festa dura meno del previsto. La parte centrale soffre di un calo d’ispirazione. Il respiro dell’album si fa affannoso. Le idee poche e stiracchiate. Forse, quello che sembrava un gustoso antipasto, era il meglio che la cucina avesse da offrire.

Prevedo il peggio. Badate bene, il peggio, quando si tratta di questa band, si traduce sostanzialmente in pezzi discreti, né brutti, né belli, che se ne stanno lì, come bravi soldatini, a guarnire la tracklist. I famosi riempitivi di cui un tempo si parlava nelle recensioni. Quando se ne sentivano di meno. E secondo me una buona metà del disco ne è provvista. Riempitivi d’autore, s’intende. Ma pur sempre riempitivi. Nella parte finale, mi riferisco a “Winter” e “Lazerray”, le chitarre elettriche tornano a infiammarsi. Per un fuoco di paglia. Tolta la gradevole, ma alquanto scialba, messa cantata di “Trouble”, rimane per ultima la title-track. E l’animo vibra, ricordandoci di cosa è capace questa band, quando al mestiere e all’eclettismo aggiunge la giusta dose d’ispirazione. Il momento migliore assieme al poker d’assi iniziale.

In sostanza un disco ambivalente, proprio come il suo titolo. Da una parte gli errori del passato, non più compensati da gemme come “Wolf like me” o “Playhouses”, dall’altra una vaga, e ancora tutta da definire, speranza nel futuro. Ciò non toglie che i TVOTR siano una validissima band, che torneremo ad ascoltare con piacere e curiosità, ogni volta che ne avremo l’occasione. Di sicuro siamo difronte ad artisti che si meritano un faldone luccicante nello sterminato archivio di Mamma Canzone. Forse però sono stati incoronati re un po’ troppo presto. Per assenza di eredi al trono. E nell’ascoltare questo “Seeds” raccogliamo i frutti di una promessa mai mantenuta. Una promessa che probabilmente, tagliato il traguardo del quinto album, andrebbe un attimo ridimensionata.
Detto ciò, il disco non è né abbastanza brutto da beccarsi due saette, né abbastanza bello da accaparrarsene tre. Ma visto che la classe è cristallina, e i pezzi ben fatti non mancano, che Zeus ne scagli tre. Anche l’omino del crash test è d’accordo.
[schema type=”review” name=”Tv On The Radio – Seeds” author=”Marco Tucciarone” user_review=”3″ min_review=”1″ max_review=”5″ ]