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3 Febbraio 2015 | ninja tune | beat-spacek |
Sud Est di Londra. Steve White ha da poco compiuto vent’anni e vive ancora nel quartiere di Lewisham. Non è difficile per lui affacciarsi alla finestra e scorgere le creste appuntite dei Punk, i crani glabri degli Skinheads ed i dreadlock dei paciosi Reggae addicted. Siamo negli gli anni Ottanta. Poco distante c’è il Flim-Flam, uno splendido locale situato su di una collinetta di Chilton Rise. La prima volta che vi entrò notò immediatamente l’impianto audio, un Bose, ma non solo. All’interno del Flim-Flam si respirava un’aria diversa, i Dj erano liberi di esprimersi, ed era un posto dove potersi godere l’atmosfera. Se ne innamorò immediatamente.
Qualche anno dopo, il Flim-Flam cambiò proprietà e per Steve fu un colpo al cuore. Niente più dj set al fulmicotone e spazio al Brit-Pop. Erano gli anni Novanta. Ma nulla di quell’intenso periodo andò buttato, tanto che persino quest’ultimo lavoro trae grande ispirazione da quell’esperienza. Certo, la storia artistica del nostro nasce agli albori del millennio, quando si fece notare come parte degli “Spacek”, un trio Britannico dedito al Neo-Soul.
Come D’Angelo, neanche Steve si è mai preoccupato di rimanere fedele ad una qualsiasi sorta di “Genere”; riuscendo nell’intento di mantenere viva la propria estetica. Ma per spiegare questo, necessita un passo indietro. Torniamo nei Seventies, proprio mentre White viene relegato al campo estivo; esperienza consueta per i giovanissimi Londinesi. Quando egli vi entrò, dovette passare per la grande sala adibita a reception, e non poté non notare il gigantesco impianto audio di cui disponeva la struttura.
Stavano ascoltando I Feel Love di Donna Summer, e questa fu la prima canzone che ricordo di aver sentito suonare ad un impianto
Ebbe un enorme effetto nella mente del piccolo Steve, soprattutto nella formazione del suo credo sonoro. Un altro salto temporale è necessario per raccontarvi l’incontro fondamentale che diede il là definitivo ad una carriera sfavillante. L’incontro casuale col vicino. Si chiamava Stex ed era un cantante Soul. Lo stesso che lo invitò per la prima volta a partecipare alla produzione di un lavoro, un suo lavoro. Funzionò, e nel breve la coppia firmò per la neo etichetta di Stevo Pearce, che nel frattempo si era fatto un nome per aver prodotto pezzi di band allora sconosciute come: Depeche Mode, Soft Cell, e The The. Mica pizza e fichi.
In Inghilterra nel frattempo prende sempre più piede la New Wave e White si ritrova catapultato in studios sempre più importanti. Il primo singolo che ne viene fuori è una ballata Synth-Pop realizzata in collaborazione con Dave dei Soft Cell “Still Feel The Rain” che riscosse un discreto successo popolare. La tecnologia stava restituendo la musica all’uomo della strada, ora capace di crearsi veri e propri home studio a basso prezzo. Steve, armato solamente di un Atari St e di un campionatore Akai S950 non se lo fece spiegare due volte.
Ricordo sempre come il campionatore Akai ricordasse esteticamente certe attrezzature ospedaliere
Preso dentro dall’improvvisa esplosione di Uk Hardcore, Jungle e Breakbeat, cominciò in silenzio a lavorare sul concetto di Dub-House. Da sempre affascinato dalle correlazioni Uomo-Macchina, era convinto di poter generare qualsiasi suono desiderasse mediante questo connubio. Ed è esattamente questa la filosofia che sta alla base di Modern Streets. Un album creato in gran parte utilizzando applicazioni musicali messe a disposizione per Ipad e Iphone.
Lui la spiega come:
Una situazione nata dalla necessità di creare rimanendo in movimento
Quest’ultimo lavoro, come il resto della sua discografia, trascende gli stili, concentrandosi sullo Swing, sull’atmosfera. Una lettera d’amore verso il futuro e inno al passato. Che si esprime attraverso il Post-Punk paranoico di “I Wanna Know“, la Nu-Wave Pop di “Inflight Wave” e nella selezione delle più raffinate componenti Dubstep “Alone In Da Sun“. E non c’è nulla da fare, anche questa volta la musica del nostro si può definire solamente con le parole “anima” e “carisma”.
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