John Carpenter – Lost Themes

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JC: What place do albums have as art forms to you?

JM: I believe they’ve replaced books. Really. Books and movies. They’re better than movies, ’cause a movie you see once or twice, then later on television maybe. But a fucking album man, it’s more influential than any art form going.

E’ il 1968. JC è John Carpenter, caporedattore della sezione musicale del Los Angeles Free Press, e JM è Jim Morrison.  Carpenter è appena ventenne, alle prese con i suoi primi cortometraggi. La sua più grande passione è già il cinema, ma fino ad allora è stata la musica a scandire la sua vita. Studia alla University of Southern California e suona in una band insieme ai suoi compagni di università – The Coupe DeVilles – con i quali creerà nel 1986 la colonna sonora di Grosso Guaio A Chinatown.

I grew up with music, in my life and in my head and from my father playing classical music. I had all that swirling around.

Regista di culto, padre fondatore di quella Horror New Wave che nasce ad inizio degli anni 80 – secondo molti proprio da Halloween – John Carpenter non è un musicista, ma di fatto suona da sempre.  Suona il violino, con suo padre, anche se scopre il vero amore nei sintetizzatori e nei computer, con i quali creerà la maggior parte delle colonne sonore dei suoi film.

Non possiede una benché minima infarinatura di grammatica musicale e tutto ciò che compone è “a sentimento”. Partendo da un’immagine e legandola al suono. Costruendo su quel suono. Rimodulandolo in base alle esigenze di scena. Il fatto che lui stesso fosse, sia occhi che orecchie dei suoi film, ha fatto in modo che essi acquisissero quell’omogeneità che è oggi il suo marchio di fabbrica, e che lo caratterizza come artista completo, prima ancora che regista.

Ed oggi, seppure sessantasettenne, ce ne da una riprova, smarcandosi momentaneamente dalle immagini da grande schermo per darci un assaggio del Carpenter musicista. Lost Themes nasce come un gioco, in un momento di relax padre-figlio fatto di videogiochi ed improvvisazione musicale. Il tutto dentro casa propria, e rigorosamente a conduzione familiare; collaborano infatti il figlio Cody alle tastiere ed il figlioccio Daniel – figlio di Dave Davies dei Kinks – alla chitarra.

La tracklist è evocativa di quel paranormale a tinte dark da sempre oggetto della ricerca stilistica dell’artista. L’atmosfera che pervade l’album è inconfondibilmente Carpenteriana, ed è quasi impossibile che la musica non evochi una sequenza di immagini all’ascoltatore, immagini soggettive, a cui il disco fa da perfetta colonna sonora.

I want you to take my album, put it on, turn down the lights, sit there and listen and start fantasizing. See the movie you got in your mind. My album is the score for it.

Vortex” è una lunghissima fuga a piedi da qualcosa che ci sta inseguendo per intrappolarci in un vicolo cieco. Mentre “Obsidian”, vede i Goblin sorridere da dietro l’angolo. La distopica “Fallen“, nutre speranze verso la scoperta di galassie sconosciute, segno di vita extraterrestre, “Domain” è la navicella spaziale per arrivarci. “Mystery“, rievoca nuovamente quelle sonorità thriller che ci hanno fatto amare il nostro, poi “Purgatory“,  – composta da Cody Carpenter in solitaria, su suolo nipponico – rallenta, diventando quasi un sottofondo tra le braccia fredde della malinconia. Chiudendo sulla darkwave sintetica di “Night”.

It’s all music. Music is one of the pure art forms. It’s not polluted like movies.

E visto il risultato di Lost Themes, l’unica risposta che mi viene da dare è quella dello stesso JM a JC, in quel lontano 68: “a fucking album man, it’s more influential than any art form going”. A quarantasette anni di distanza, la lezione è stata recepita.