The Big Rip Of Poetry: Poeti Morti #1

Ai poeti

Essenze di ogni bellezza popolare,
violini dalle corde vibranti
lunghe, soffici, delicate armonie –
anche se sfiorati dalle ruvide dita del mondo
anche se sfiorati dalle fredde dita del dolore –
pensate al giorno in cui, dormendo nelle vostre tombe,
sarete svegliati dal tuono delle vostre voci
e dal vento forte e gelido della vostra musica:
poiché nel suolo fertile degli anni
le vostre voci fioriranno mutando in tuono,
la vostra musica muterà in vento che monda e genera.

Nascono, soffrono, scrivono cose bellissime e muoiono giovani. Si chiamano Nick, Kurt, Amy, Ian, ma anche John, Anne, Sylvia, Emanuel. I primi nomi vi dicono qualcosa, state già canticchiando, avete postato almeno una volta nella vita un video con l’enorme scritta R.I.P. o un pensiero personale in tono funerale, gli ultimi nomi magari non vi dicono niente. Ecco perché, qui di seguito, alcuni fondamentali R.I.P. poetici, ovvero brevi storie di poeti morti, che sono nati, hanno sofferto, hanno scritto cose bellissime, e non ce l’hanno fatta nemmeno dopo morti a meritarsi una cover band o un’enorme scritta R.I.P su facebook.

john keats rocklab

John Keats (R.I.P. 23 febbraio): ragazzo povero, debole, sfigatissimo, il vero poeta romantico. Tutti i suoi amici poeti diventano famosi, lui no. Tutti invidiosi di lui, lo trattano pure male. Si spegne come un cencio a Roma. Ha 25 anni. C’è una bella (e breve) antologia che contiene alcune sue poesie insieme a quelle dei suoi finti amici poeti romantici rosiconi dal titolo I ragazzi che amavano il vento. Inoltre è uscito da pochi mesi un librone di 700 pagine, A passeggio con John Keats, scritto dall’immenso Julio Cortázar: apritelo a caso e leggete un capitolo qualsiasi, per capire cos’è il vero romanticismo e quanto una breve e tragica vita romantica valga cento esistenze sbiadite da un sentimentalismo all’acqua di rose e da una fantasia di corto respiro che spesso si spaccia per poesia, come dice Andrè Breton.

anne sexton rocklab
Anne Sexton (R.I.P. 4 ottobre), bipolare, la sua poesia è definita “confessionale”. Siamo nell’America degli anni 50/60, lei cerca di condurre una vita tradizionale ma non ce la fa, le sue tante storielle amorose le valgono la fama di ragazza frivola. Cerca di uccidersi più e più volte. Ci riesce all’età di 46 anni: scende in garage accende il motore della sua macchina e si toglie la vita col gas di scarico. Le sue poesie parlano di tutto questo, in primissima persona, senza mezzi termini, con precisione chirurgica. Diceva Vivi o muori ma non avvelenare ogni cosa (Live or die, but don’t poison everything). Dopo morta ama starsene nascosta, cercatela.

sylvia plath rocklab

Sylvia Plath (R.I.P. 11 febbraio), soffre di depressione, è amica di Anne Sexton e prima di lei decide di morire col gas, infilando la testa nel forno all’età di 30 anni. Oltre alle poesie scrive anche un romanzo semi-autobiografico, La campana di vetro, e soprattutto una serie di Diari, scritti tra i 18 e i 29 anni, in cui oggi possiamo sfacciatamente mettere il naso grazie al marito, poeta pure lui, che li ha resi pubblici. Dopo morta diventa famosissima. Profetico il finale di una sua poesia:

“e sarò utile il giorno che resto sdraiata per sempre: finalmente gli alberi mi toccheranno, i fiori avranno tempo per me”

emanuel carnevali rocklab

Manuel Federico Carlo Carnevali (R.I.P. 11 gennaio), Emanuel, il Primo Dio della canzone dei Massimo Volume (ispirata all’omonimo poema breve del poeta, pubblicato da Adelphi), bolognese, scappa di casa all’età di 16 anni e va a New York. All’inizio fa mestieri umili (“raccogliere cicche per strada non fu certo la cosa più spregevole a cui mi ridussi”), poi entra nel giro giusto, quello di Ezra Pound, William Carlos Williams e Sherwood Anderson (i Padri). Colpito da una malattia nervosa ritorna in Italia, gira per vent’anni fra ospedali e pensioni e muore a 44 anni nella clinica neurologica di Bologna, soffocato da un boccone di pane. È sua la poesia in incipit.