The Seeds – The Seeds

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Quando “The Adventures Of Robin Hood” uscì nelle sale americane, Richard Elvern Marsh era ancora nella culla, correva l’anno 1938. Come tutti saprete, la vicenda è ambientata nella cittadina di Nottingham, dove l’arciere-filantropo più famoso della storia si oppose al perfido Re Giovanni, reo d’aver usurpato il trono al precedente Riccardo – imprigionato in Terra Santa durante le Crociate. Richard, in età adolescenziale ne fu rapito: forse, immedesimatosi fin troppo nelle vicende del suo omonimo, decise di includere nel proprio nome d’arte qualcosa che richiamasse quei racconti “sassoni” –  da cui Sky Saxon, letteralmente “Cielo Sassone“. Da quel momento anche all’anagrafe probabilmente cominciarono a chiamarlo così – qualche tempo dopo il suo padre spirituale YaHoWha, aggiunse anche un bel “Sunlight” al tutto, sicuro della potenza energetica evocata dalle tre parole.

Ma il vero motivo per il quale Richard fu così attratto dalla pellicola, era la presenza nel cast di Errol Flynn. Flynn fu un attore ed in seguito regista Statunitense dalla vita spericolata. Donnaiolo, Ubriacone, e facile alla dipendenza da narcotici, conquistò l’immaginario del nostro che ben presto prese spunto dal suo “personaggio” nel plasmare le proprie produzioni. Studiò pianoforte per qualche tempo alla UCLA, cercando d’approfondire la sua prima influenza musicale: la musica classica. Ma non fu quello il suo destino. Infatti nel 1965 grazie ad un annuncio pubblicitario si formano i The Seeds, mantenendo fede ad un Peace & Love per squilibrati di mente.

«La parola “Seeds” appare più di 5000 volte nella bibbia»

Sky Saxon

Aderirono Daryl Hooper – un vero autodidatta nonché uno dei primi ad utilizzare la Keyboard bass – i chitarristi Jan SavageJeremy Levine ed il batterista Rick Andridge; erano un quintetto. Durò poco, perché Levine se ne andò quasi subito per problemi personali.

Si ispiravano ai Kinks, ma con melodie molto più semplici e selvagge inserite all’interno di un repertorio abbastanza limitato a livello d’inventiva: quello che contava era l’attitudine. A fare la vera differenza però fu la voce nasale di Saxon, accompagnata grugniti e lamenti; il successo non arrivò subito. Infatti il loro singolo d’esordio “Can’t Seem To Make You Mine” fu un flop. Sorte che non toccò al secondo estratto, capace di raggiungere il 36esimo posto nella classifica di Billboard, parliamo ovviamente di “Pushin’ Too Hard“. Forti di questo riconoscimento, l’anno seguente diedero alle stampe quello che rimane uno dei capisaldi del Garage-Punk, e grande fonte d’ispirazione per tutte quelle band che negli anni ’70 imperversarono sul palco del CBGB di New York; ovvero, il loro primo album omonimo.

Pochissimi elementi, scarni, e testi che sembravano scritti da un bambino di dieci anni, funsero da sfondo a quella valanga di cliché di matrice Pop – i primi che venivano in mente – declamati dall’ugola abrasiva di Saxon. Un lavoro che, come detto in precedenza, gettò le basi attitudinali per l’avvento del Punk-Rock un decennio prima che questo esploda, rimanendo ancorato al proprio tempo, al Flower-Power – che verrà evidenziato maggiormente nei lavori seguenti – qui trattato con l’accetta. Mistico, sacro e profano si fondono con immediatezza e schizofrenia: millantando invenzioni attitudinali a posteriori.

«Seeds is Grunge before Grunge»

– S.S

A tutto questo si aggiunsero, oltre al successo “Pushin’ Too Hard”, brani che puzzavano di sciamano ubriaco “Evil Doll“, episodi in favore della femme fatale di turno “No escape” e paturnie adolescenziali da discount “Girl I Want You“. Un crogiolo d’istintività ormonale nell’epoca (breve) dei fiori: i Seeds stavano germinando la nuova rivoluzione, che lo sapessero o meno.

«Cosa può crescere da una “Rolling Stone”? Come saprete, una pietra che rotola non fa muschio»

– S.S