Attitudine e visual
E’ ormai il secondo anno del Festival Eutropia in un luogo simbolo nel cuore di Roma. Si tratta infatti dell’ex mattatoio, ora diventato sede della città dell’altra economia. Il Palco è posizionato in una sede diversa rispetto ai vecchi concerti dei tempi del centro sociale. Ora da le spalle al fiume e forse sembra un po’ sacrificato. A modesto avviso di chi vi scrive, forse si dovrebbe studiare una soluzione che rimetta al centro l’evento musicale, rispetto alle attività commerciali che ne vivono il festival. Indubbiamente si andrà verso queste soluzioni, ma è già un grande merito avere recuperato un luogo simbolo delle notti romane, e avergli ridato la dignità culturale che gli spetta.
Audio
Anche l’impatto sonoro sembra seguire i pregi e i difetti del palcoscenico. Gli effetti sonori, ma anche le luci, sembrano solo una parte di un insieme più complesso, nella quale la band di turno da protagonista diventa comprimaria. L’acustica sembra premiare molto la batteria ed i bassi, assai meno le evoluzioni canore del cantante Luke Pitchard specie quando si cimenta col falsetto.
Pubblico
Il pubblico è composto essenzialmente di giovanissimi e di stranieri, in particolare inglesi. Ma è cosa normale, visto che parliamo di una band che ormai può essere considerata headliner dei principali festival europei, nonostante la giovane carriera.
Locura
Anche se la calura estiva ieri sembrava avere dato una piccola tregua, per i turisti del Nord Europa, si tratta comunque di qualcosa di insopportabile. E così il rimedio fai da te, cui ho assistito, è stato ordinare due birre medie: una utile a dissetarsi, e l’altra interamente riversata in testa. Il mestiere di arrangiarsi.
Momento migliore
Ottima la scelta della band inglese di abbinare il loro repertorio classico con i brani estrapolati dall’ultimo album Listen. Questo ha permesso un coinvolgimento massimo del pubblico che si è scatenato su Bad Habit, She Moves in Her Own Way, It Was London, sino ai bis dei classici Junk Of The Heart e Naive.
Conclusioni
I Kooks rappresentano al meglio la tradizione rock inglese delle guitar band. In questo i maestri britannici sono insuperabili, e si tratta di un fenomeno che si può ripetere all’infinito. Ma non è affatto una nota dispregiativa, tutt’altro. Capacità musicali e creatività nello scrivere trasformano band da pub in fenomeni da festival, nei quali riescono mettere in luce il loro talento. La difficoltà per queste band è riuscire a mantenere degli standard qualitativi di creatività adeguati nel tempo. Mesi di tour, e le contaminazioni con i format tv hanno finito per imbastardire un certo tipo di musica rock, che invece ha la propria natura nell’istinto e nella follia dell’estro improvvisato. Per fortuna i Kooks, come molte altre band, sono riusciti ancora a rimanere dall’altra parte della barricata.