In riviera con gli M+A

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Dopo un live tropical-unplugged all’hana-bi, abbiamo stanato gli M+A per qualche battuta a caldo – con un briciolo d’orgoglio da parte di chi vi scrive, avendoli visti nascere fin dalle prime date. Insomma, quando le tue scommesse prendono la forma desiderata ti senti gratificato doppiamente.

Ciao ragazzi, innanzitutto ho un’ottima esperienza e ricordo di voi. Vi vidi tre o quattro anni fa allo Spazio Sì a Bologna ed eravate proprio agli esordi. Ricordo che uno di voi veniva da un erasmus a Bergen, portando con sé quei cardini sonori e stilistici che andranno a caratterizzare il vostro progetto musicale: all’epoca voi vi chamavate (A)+(M) o (M)+(A), insomma eravate abbastanza intercambiabili.  Ora invece avete optato per un più lineare M+A, nel frattempo cos’è successo? È cambiato qualcosa a livello di gerarchia interna ? Poi diciamolo, M+A sta per Minosse e Achille, giusto ?

Ahah sì sì esatto, Minosse e Achille. Anche se noi pensavamo Michele e Ale. No in verità è stato un fatto burocratico; all’epoca doveva uscire il primo album (“These Days”) per l’etichetta inglese (Monotreme) e c’era già un gruppo americano di nome AM che ci ha minacciato di morte (ride) se avessimo usato il nome AM. Quindi MA suonava male e abbiamo tenuto M+A.

Da dove parte l’idea di questo live semi-acustico ? È stato pensato come data unica oppure lo state promuovendo un po’ in giro ?

In realtà è nata questa primavera perché dovevamo fare un set acustico a Londra alla Soho House e mentre ci preparavamo ci ha scritto paradossalmente l’università di Padova che voleva organizzare qualcosa all’Orto Botanico e l’evento è andato sold-out in quattro ore. Quindi abbiamo pensato di continuare a proporla. L’abbiamo fatta un’altra volta a Roma allo Spring Attitude e poi l’abbiamo fatto oggi. Lo facciamo solo in queste situazioni dove ci sembra che ci possa stare, tipo qui all’ hana-bi, in spiaggia insomma.

Alla fine però, quello che avete proposto è stata una specie di riscrittura dei brani – il live-set più che essere un unplugged è stato più incline a sonorità Calypso / Hawaiiane.

Sì in parte sì, poi abbiamo scelto di proporre brani che non facevamo mai dal vivo perché erano pensati all’origine di essere più acustici, quindi ci sembravano anche le occasioni adatte per suonarle dal vivo.

L’ultima volta che vi ho visto, al Covo, c’era più o meno lo stesso allestimento di oggi ma ad un certo punto avete lanciato sul pubblico questa specie di spade gommose con dei led luminosi dentro. Vi portate dietro sempre questo bagaglio “tropicale” ? È stato meraviglioso.

Ma sì, sono quelle piccole trovate che ci permettono di creare un po’ l’idea di spettacolo, di coinvolgere ulteriormente il pubblico. Nel caso dei led vedevi letteralmente che il pubblico si accendeva.

Quindi l’idea dei lettini e del gioco per limonare (che non ha funzionato) era la vostra ?

L’idea di mettere il pubblico sui lettini è stata di Cris (dell’hana-bi), l’idea del limonare è nata da noi, e pubblicizzata anche twitter: “saremo all’hana-bi, questa volta ballerete di meno ma limonerete di più”. Quindi Cris l’ha presa come idea della serata.

L’ultimo album l’avete registrato a Londra ma voi state in maniera stabile a Forlì, giusto ? E quindi vi muovete ogni volta che dovete registrare materiale nuovo. Avete già in programma cose nuove ?

Lo stiamo appena scrivendo, non sappiamo ancora se e come uscirà perché dobbiamo pensarci,  vedremo, non uscirà sicuramente prima del prossimo anno: è proprio in fase embrionale.

E con chi vi piacerebbe collaborare ?

Bhe con Michele e con Ale (ridono). No guarda, dopo le varie esperienze, e avendo provato studi e produttori, c’è una storia che stiamo raccontando un po’ in giro: abbiamo prodotto un pezzo col bassista-produttore di Jamiroquai ed è stato una schifezza totale. Perché paradossalmente noi avevamo questa fissa, e tentavamo di convincerci che il produttore di Jamiroquai fosse bravo. Effettivamente lo era però ci portava continuamente verso altri generi. Noi di nostro siamo molto pignoli e quando abbiamo un’idea tendiamo a portarla avanti fino in fondo alla nostra maniera. Lui non entrava molto nell’ottica del genere, ci portava verso un funky però brutto. Poi noi puntiamo ancora ad avere una produzione indie e non super-pop come la sua. Però è stato positivo perché dopo queste esperienze abbiamo capito che, probabilmente, le prossime cose le produdurremo al 100% noi.

Ormai avete anche tutti i mezzi per riuscirci, credo.

Oddio, nì. Nel senso che stiamo lavorando per ottenerli ecco.

Ci raccontereste esattamente come è nata la storia del Glastonbury, tanto so che l’avrete raccontata mille volte.

Eh, in pratica abbiamo vinto (risata). Allora, la nostra tour manager dei tempi, che tra l’altro è stata licenziata, ci aveva iscritto di sua iniziativa – senza dirci nulla – a questo talent per artisti emergenti del Glastonbury, così a caso, ed era agosto. Ad aprile, ad una settimana di distanza dalla prima scrematura, siamo venuti a sapere che eravamo stati selezionati in mezzo a tremila progetti. Da tremila si è passati a sette e noi abbiamo vinto su quei sette, anzi, su quegli altri sei rimasti.
Abbiamo condiviso il palco con i Disclosure, Goldfrapp, e M.I.A. In seguito i Disclosure non siamo riusciti a beccarli, ma ci abbiamo preso un caffè prima dello show insieme, poi noi siamo dovuti ripartire mentre loro suonavano.

Insomma vi sentite di confermare il luogo comune che noi, in Italia, abbiamo sempre bisogno di un pezzo di esterofilia per farci piacere qualcuno che venga comunque dal nostro paese?

Assolutamente sì. Noi siamo partiti perché a Londra ci reputavano interessanti. Eravamo pieni di recensioni e di interviste, qui invece meno, o comunque solo adesso, come al solito di ritorno dall’esperienza all’estero.

Però è anche chiaro che voi siete andati al Glastonbury anche perché avete un sound internazionale, non credo che un gruppo indie che canta in italiano sarebbe stato selezionato.

C’è da dire che il talent è stato fatto grazie a una label inglese per un talent inglese. Quindi il problema si sarebbe posto a monte: ovvero, se una label inglese avrebbe preso un progetto cantato in italiano. Il progetto nasce e si sviluppa in Inghilterra. Infatti nessuno sapeva che eravamo italiani, lo hanno scoperto quella sera che parlavamo fra di noi.

Benissimo, ragazzi, complimenti per il vostro rinnovamento costante. Ciao, alla prossima.