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10 luglio 2015 | Relapse records |
La dissoluzione infinita è il rifrangersi senza tempo. Senza pausa e senza fine, all’interno e sulla superficie di quei parallelepipedi di vetro – ritratti nella copertina a cura di David Altmejd – fatti di specchio, di metallo, di liquido, di solido, di aria e di tutti gli elementi insieme. L’incresparsi all’infinito di quei riflessi e di quei riverberi è come un tuffo nell’oceano pretendendo di continuare a vedere e contare le onde concentriche che il nostro corpo ha generato. Pretendere di sentirne il suono, amplificandolo e prolungandolo all’infinito.
Immaginate una qualsiasi di queste azioni pratiche inserite e mantenute all’interno di un contesto che utilizza la delicatezza come arma vincente. Accarezzate il metallo, avvicinate le pupille ad una superficie vitrea, sfiorate la punta dell’acqua: ora prendete una per una le conseguenze di queste piccole azioni e amplificatela a valori esponenziali. Violentatene le proprietà, massimizzate le percezioni, ingigantitene le conseguenze.
“Infinite Dissolution” dei Locrian è il fermo immagine di ognuna di queste alterazioni, la reiterazione filmica di ogni rispettiva percezione. La trilogia rumoristica “KXL” utilizza campionamenti ambient e glitch come ammortizzatori per il resto della strumentazione. Perché le possenti mura metalliche dei Locrian sono percepibili in maniera direttamente proporzionale alla loro lenta espansione. Eppure crescono in questa perfetta limpidezza, fatta di vetro e diamante, con il preciso intento di raggiungere i confini di questa stanza di cristallo, per collidere attraverso l’esplosione di infiniti luccichii. Brillanti schegge di vetro e scintillanti fibre metalliche.
Potente, diretta e concreta è la costruzione tipicamente post-rock della doppietta “Arc of Extinction” e “Dark Shales”, fortemente ancorata alla tradizione post-metal per crescita e sviluppo. Eppure la particolarità della nuova deriva dei Locrian sta nel puntuale sviluppo delle chitarre che abbandonano la classica costruzione post-rock per imboccare una strada più vicina al mondo psichedelico e progressivo. Le chitarre semiacustiche sono un continuo di accordi, arpeggi, soliloqui, delay e sovrapposizioni, senza mai determinare lo strato principale del songwriting: anzi, avvicinandosi ad esso per accarezzarlo, evocando sensazioni passeggere, ma memorabili.
André recentemente spese qualche parola in merito alla sua riscoperta di “The Lamb Lies Down on Broadway” dei Genesis, ed effettivamente, analizzando il nuovo lavoro emerge istantaneamente tutta quella cinematografica teatralità insita nei lavori della band di Gabriel e Collins. Ogni secondo di registrazione sfila verso l’ignoto. Un campo e controcampo nella riscrittura di quello che si può intendere riferendosi un certo tipo di musica cosmica di matrice prog. Kosmischemusik per atomi, musica infinita per soggetti microscopici, il macro nel micro – “The Great Dying” ed il suo apocalittico climax finale. Incredibili “The Future of Death” e “Heavy Waters” nel loro dolce abbandonarsi al buio dello spazio profondo.
La luce della speranza rimarrà all’orizzonte, oltre quelle urla rarefatte e ultraterrene.
I Locrian riescono dunque a prescindere dal concetto stesso di creazione “metodica”, lasciando che la liquidità sonora di “Infinite Dissolution” lasci nella mente dell’ascoltatore la sensazione di un mutamento incompleto: continuamente in bilico fra gelo e tepore, fra tensione e rilassamento. Un commovente panorama di particelle in movimento.