Metric – Pagans In Vegas

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Se siete vittime di certi cliché musicali, questo disco fa per voi. Perché Pagans In Vegas stravolge a suo modo la concezione lineare di “insieme” a cui siete solitamente abituati. La ricerca musicale del gruppo Canadese traccia linee parallele tendenti all’intreccio, spingendosi verso l’impatto con il passato e con la propria evoluzione. 13 tracce ancora parecchio influenzate da quelle chitarre rock classiche capaci di fondersi con synth e giri di basso, che non tanto lontanamente richiamano la wave analogica degli anni ’80 e che Emily Haines riesce ad armonizzare con la sua voce ed i suoi testi.

Cascades“, quinta traccia e primo singolo estratto dal disco, sintetizza i contenuti di Pagans in Vegas grazie all’apporto di quei synth dall’impronta glitch che strizzano l’occhio alla radicata new-wave a cui i Metric sono fortemente legati: tanto da abbandonarcisi totalmente nel precedente lavoro Synthetica (2012). “Fortunes“, “The Shade” e “For Kicks” rappresentano la prima delle linee inizialmente parallele; quella portatrice del glam-rock a tinte synth-pop tipico dei Goldfrapp – richiamati dai synth à la “Strict Machine” (da Black Cherry, 2003) -, che confluisce nelle sonorità pop/dance di “Celebrate”, per poi tornare alle origini della wave e della indie elettronica con “Too Bad So Sad” e “The Governess” – veri omaggi a GarbageCranberries.

Due tracce interamente strumentali chiudono il disco. “The Face, Pt. 1” rappresenta un puro omaggio agli anni ’80 in chiave glitch, mentre “The Face, Pt. 2“, dai toni ambient, testimonia la continua sperimentazione “trasversale”, e slegata dall’elettronica, su cui il gruppo continua a lavorare incessantemente. Inoltre, la Haines ha dichiarato ultimamente, in un’intervista su SPIN, di essere già al lavoro per il seguito di Pagans In Vegas, e di essersi orientata verso l’utilizzo di soli strumenti analogici, giustificando così la fertilità della relazione uomo-macchina più volte sottolineata all’interno di questo disco.