Elvis Perkins – I Aubade

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Sembra una sorta di persecuzione. Anche perché, molto spesso, le opere artistiche cercano di discostarsi dal profilo umano di chi le ha prodotte. Appunto, questo è qualcosa che avviene spesso ma non sempre. In questo caso, il disco sembra un nascondiglio di indizi che riportano alla storia personale del suo autore. Figlio del celebre e tormentato attore Anthony Perkins, quello di Psycho per intenderci, e dell’attrice Berry Berenson, che perse la vita nell’attacco terroristico alle Torri Gemelle, Elvis ha imparato a cavarsela da solo.

E’ maturato presto, si è creato uno scudo di protezione, cosa che si riflette anche in questo disco. I Aubade è un disco che nasce a distanza di tempo dall’ultima produzione. L’album è difficile da ascoltare e sembra piuttosto frammentato. In pezzi come “Eveline” o “I came for fire” sembra di scorgere richiami a Leonard Cohen pittosto che a Devendra Banhart, ma appunto si tratta solo di accenni – qualche pennellata di classe in un’opera fondamentalmente incompiuta. Una sorta di atmosfera dilatata permea il lavoro, come se l’autore volesse travalicare l’ascolto abbandonandosi alla propria estetica, in cerca di un cuore (del disco). Elvis Perkins sembra comunicare qualcosa di non completamente risolto nell’opera, ma fa anche intercettare il dubbio di scorgere un po’ di luce alla fine del tunnel. Forse si è intrapreso un percorso, anche artistico, che gli consentirà una crescita musicale e poetica in futuro. Al momento si avverte il timore di restare in mezzo al guado.