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15 gennaio 2016 | Fueled By Ramen | panicatthedisco.com |
Attitudini. Ci sono degli elementi ricorrenti nel sound di una band che tende a distinguerli dagli altri gruppi. Ora la forza di un gruppo pop-rock, e di conseguenza la sua crescita, sta proprio nel sapere espandere i propri confini senza comunque riuscire a smarrire il timbro sonoro di fondo. Questo vale per gli U2 come per le giovani band di ultima generazione. A questa regola non possono e non debbono sottrarsi gli americani Panic! At Disco.
Il gruppo ha dimostrato talento, che ha bisogno però di uscire da confini sonori sicuri. Anche perché il rischio di una ridondanza creativa è dietro l’angolo. Ora ci sono pezzi come: Hallelujah, Vitorious e Golden Days, che dimostrano potenza sonora da mainstream, stile The Killers o Thirty Seconds to Mars, ma a volte ciò che sembra difettare è un po’ di anima ai singoli pezzi, che altrimenti rischiano di somigliarsi un po’ troppo. Nessuna bocciatura, ma sale l’attesa verso un processo di maturazione che gli possa permettere di individuare una strada creativa meno battuta dal punto di vista commerciale, proiettandoli verso quel “nuovo inizio” che ci ci aspetta. Eccezion fatta per la titletrack, che rimanda alla poetica più grezza di Beatles e Kinks. A dimostrazione che i ragazzi affondano la loro musicalità in radici solide e profonde. In attesa che il tempo sia maturo per quell’esplosione creativa che il loro leader, lo sfrontato Brendon Urie, ha più volte sbandierato a fan e stampa.