General Stratocuster and The Marshals – Dirty Boulevard

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Dirty Boulevard, arriva dopo l’omonimo General Marshals and The Stratocuster del 2011 e Double Touble del 2013, segnando l’inizio della collaborazione con la Black Candy.

Un album che affonda le radici nella migliore tradizione Roots-Rock, mettendo certo Blues sugli scudi – una sensazione percepibile non solo analizzando le strutture compositive, ma soprattutto saggiando l’attitudine che permea tutto il lavoro. Pezzi come “Thank you Bob” ne sono l’esempio. Nella fattispecie trattasi di un piccolo gioiello d’Aussie Rock malinconico: evidente omaggio a quel Dylan, vero punto di riferimento per la band. Ma per comprendere a pieno la poliedricità del quintetto, bisogna necessariamente passare per l’Hard Rock a cavallo fra AC/DC (ancora Australia) e Stones di “Built to last” – primo singolo estratto –, e dal connubio fra Zeppelin e Humble Pie messo in scena durante la fantastica “Little Sparrow“. Diciamolo subito, Dirty Boulevard è una gemma preziosa d’altri tempi; proprio come quel Rock’n’Roll che faceva impazzire i dancehall a fine ’50, specie se suonato da Chuck BerryAll My Pride.

Del resto, per chi non lo sapesse, parliamo di una band che vanta fra le proprie file veri fuoriclasse. La voce è di Jack Meille, frontman dei riformatisi Tygers Of Pan Tang da Newcastle; al basso l’italoamericano Richard Ursillo – colonna del Prog-Rock italiano 70’s con i Sensation Fix, gli Sheriff e i Campo di Marte; alla chitarra solista troviamo Fabio Fabbri, session-man e autore negli anni 90′; mentre alla batteria e alle tastiere troviamo rispettivamente Nuto e Federico Pacini della Bandabardò. La band è attiva dal 2010 e riunisce questi cinque musicisti in nome di un amore per la musica che è come una droga: e questo è probabilmente il segreto per fare ancora oggi del buon rock, avere qualcosa da dire, ma soprattutto il coraggio di andare fino in fondo ad un suono con passione viscerale. Un disco da gustare fino in fondo per comprendere a pieno il concetto di “mestiere”, quello che va scomparendo nell’era del Less Is More.

More is More.