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27/02/2016 | Go Down |
La storia dei Pater Nembrot comincia ad inizio millennio, arrivando ai giorni nostri dopo due album – Mandria (2008), Sequoia Seeds (2011) – e l’Ep “Extended Pyramid” del 2013. Un percorso lungo ed affascinante quello della band Cesenate, che a partire dal 2014 ha deciso di mischiare le carte in tavola aggiungendo la chitarra di Ramona Marchi al lotto e diventando così un vero e proprio quartetto dedito alla psichedelia pesante. A coronamento di questo intenso periodo di riassestamento arriva oggi “Nusun“, terzo lavoro su lunga distanza.
Se lo chiedeste a loro, probabilmente, vi descriverebbero lo scenario alla base dell’opera come quello avvicinabile ad: “Un pianeta dove calamari giganti si nascondono nel profondo dei mari, mentre maghi, amazzoni e arcieri combattono“. In realtà, la musica del combo Romagnolo affonda le radici tanto nella sopracitata Psichedelia quanto nello Stoner-Rock Americano e nel Grunge. Siamo al cospetto di composizioni dilatate, capaci di rivivificare i ricordi nineties più sporchi e sognanti. L’epicità però è veramente parte integrante del racconto. A dimostrarcelo, arriva in apertura quella splendida dimostrazione d’orgoglio battagliero che è “Stitch“: narrazione vivida del furore amazzone per un pubblico che al Brit-Pop ha sempre preferito l’asse Kyuss/Nirvana. Del resto, la qualità maggiore dei Pater Nembrot, risiede proprio nel saper giostrare magistralmente i rivoli Heavy che imperversarono nei novanta. Parliamo, ovviamente di Stoner e Grunge, qui implementati da una sostenuta carica lisergica e dal ricordo dei padri – Blue Cheer. Troverete gli Alice In Chains nella prima parte di “Architeuthis” e in “Overwhelmed“, il deserto più cocente in “The Rich Kids of Teheran” e forse la pace nella notturna e conclusiva “Dead Polygon“. Tutto questo mentre dentro di voi, lentamente, si fa strada la certezza di aver in cuffia un grande disco.