Siouxsie and the Banshees – Peepshow

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Sensuale e contorta Siouxsie. Ammaliante ma comunque algida. Sfatta e al contempo elegante. Un’icona gotica sfumata via dalla ribalta, rifugiata ormai nel suo castello lontano da tutto, come una Mina qualsiasi. Circondata dai suoi adorati e, si spera, adoranti felini. Una Mina inesplosa, probabilmente. Una regina dei dannati sfrattata dall’inferno, oppure, più prosaicamente, una ragazzaccia che visse in prima persona il punk, e che adesso invece fa la gattara full-time. Ragazzaccia che visse due, tre, o anche più volte. Nove vite come i gatti, sempre loro.  Ma si sa, il tempo passa per chiunque, e su questo c’è poco da scherzare. Il pensiero di Siouxsie, però, continua a bagnarci. Sì, esatto, continua a bagnarci. Proprio in quel senso là. E per motivi che esulano, almeno in parte, dal suo magnetismo di perfomer. Siouxsie ci fa bagnare perché era bella, dentro e fuori le sue tenebre. Perché ai tempi del live “Nocturne” era semplicemente “bona come er pane”. Perché irrimediabilmente mistress. E ci saremmo fatti frustare volentieri, da una come Siouxsie. Senza nulla togliere alla ruvidezza punk di “The Scream” (il suo primo full-lenght, datato 1978), e alla magia nera del capolavoro “Juju”.  L’avrete capito ormai: se solo ce l’avesse chiesto, le avremmo offerto volentieri la nostra colonna vertebrale come poggiapiedi vivente.

Dopo una simile premessa, non potevamo far altro che posare il nostro sguardo consumato da Onan su un oggetto musicale come “Peepshow”. Un capitolo minore, forse, nella discografia della quasi sessantenne Susan Janet Ballion ( proprio oggi ne fa 59). Tuttavia questo disco del 1988, il nono in studio della nostra Siouxsie, custodisce più di un motivo d’interesse. Innanzitutto il titolo, che rimanda subito a uno spettacolo erotico per guardoni. Un “Peepshow” che è anche un “Creepshow”, e se vogliamo persino un “Freakshow”, come nell’iniziale “Peek–a–Boo” (che è anche il nome di un personaggio femminile della DC Comics, e qualche anno dopo, nel 1992, Siouxsie sarebbe apparsa con il brano “Face to Face” nella colonna sonora del film “Batman Returns” di Tim Burton, recitando oltretutto in un videoclip dove sembra più Catwoman della stessa Michelle Pfeiffer. E niente, coincidenze fumettistiche, per noi profani della DC Comics, e del fumetto in generale). “Freakshow”, dicevamo, perché il brano in questione ci porta in una dimensione circense, giocosa, ma sottilmente inquietante, finora inedita per l’indiana più sexy del punk (e del post-punk). Qualcosa di prossimo, per voglia di buttarla fuori dal vaso, alla spassosissima “Hot Hot Hot!!!” dei The Cure dell’amico/nemico Robert Smith (anche lui fece parte dei Banshees, e mise in piedi il side-project The Glove col bassista Steven Severin, ma questa è un’altra storia).

Il disco, l’abbiamo anticipato, rappresenta un episodio non imprescindibile nella carriera dei Siouxsie & The Banshees (scusate, colpa mia, spesso mi dimentico che ci sono di mezzo anche i Banshees). Ma oltre al titolo, che ci fa immedesimare in un ipotetico Lino Banfi che spia dal buco della serratura uno striptease a tinte dark, “Peepshow” ha anche  degli innegabili meriti musicali. Inizia col botto, tanto per dirne una (le bellissime “Peek –a-Boo” e “The Killing Jar”, più divertita la prima, più suggestiva la seconda, con una intro strumentale dal sapore caraibico). Divertimento, ok, suggestioni puramente new-wave, un po’ di confusione nella parte centrale (se si esclude l’incalzante “Ornaments of Gold”), ed un finale nuovamente a livelli altissimi, con la struggente “The Last Beat of My Heart”, e il crescendo drammatico, davvero mozzafiato, di “Rhapsody”.

Non imprescindibile quindi, questo “Peepshow”, almeno secondo la vulgata ufficiale. Eppure è uno dei dischi più eterogenei della nostra “mistress barra strega prediletta”. E sono dischi di tal fatta, che vogliate oppure no, a fornirci un osservatorio più vasto sull’opera di qualunque artista. Un disco bello e irrisolto, sensuale e contorto, come la voce che lo abita e che gli dà vita. Un disco che cade e che poi si rialza. Più interessante di tanti capolavori, o presunti tali, passati agli onori delle cronache. “Peepshow”, in definitiva, ci regala un pugno di brani stupendi, e amplia il nostro punto d’osservazione sulla figura di Siouxsie. Altrimenti, c’è sempre il buco della serratura.