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7 Ottobre 2016 | Goodfellas |
Uno sguardo positivo
per sentirmi ancora vivo
sono il nuovo primitivo
– da “Arancio”
Partiamo da una bella storia. Circa sei anni fa Valentina Criscimanni gestiva un “ristorante clandestino” nel romano, zona Pigneto. Una cosa nata per scherzo, ma poi cresciuta così tanto da rendere necessaria talvolta la prenotazione. Visto lo spazio ridotto (una stanza) e la disponibilità di materiale mediante il quale cibarsi, spesso i commensali si portavano da casa le posate; il clima creatosi era fantastico. Valentina però, oltre alle pensate geniali, poteva contare su una voce incredibilmente ammaliante. Fu proprio sul finale di queste serate culinarie che, causa qualche bicchiere di troppo, la nostra cominciò a sfoggiare le sue qualità canore. Era timida – ma con la voce che si ritrova, poi passa.
L’iter andò avanti per un po’ fino a quando Umberto Fiore, assistendo ad una di queste performance, ebbe l’idea di metterla in contatto con un chitarrista in grado di accompagnarla. Contattò Sergio Ferrari. Nacque così il gruppo – e anche l’amore. Dapprima come “AranciOtti“, forse per via dei vestiti di scena, per poi virare verso una ragione sociale più esportabile, ovvero quella attuale: Orange 8.
Dopo un Ep autoprodotto (“Turtle Bubble”) gli Orange 8 arrivano oggi al loro primo full length, intitolato: “Let The Forest Sing“. Un album registrato in giro per l’Europa, ma non per i motivi che pensate voi. Infatti, il duo ha deciso di abbandonare le sicurezze che offre la società – una casa, un lavoro fisso (?!) –, in favore di una vita “splendidamente vagabonda” in compagnia dei propri strumenti (e di un camper). Il trionfo del pensiero sessantottino, cinquant’anni dopo – e a detta loro fattibilissimo. Lui animo Zappiano, lei dotata di una duttilità vocale che le permette di spaziare fra gli stile e le lingue – italiano, inglese, francese e elfico.
“Let The Forest Sing” si apre fin da subito con un manifesto in piena regola. “Arancio” – unico pezzo cantato in italiano –, pone fin sa subito in essere le basi ideologico/stilistiche della band. Il bisogno di un nuovo contatto diretto con la natura qui si fa necessità primaria, espressa attraverso le dinamiche del Pop nostrano; un pezzo di cui si sente la mancanza all’interno delle hit radiofoniche nostrane. Poi il cambio di linguaggio lascia emergere maestosamente la voce di Valentina. Immaginate un cantato devoto ad icone del calibro di Elizabeth Fraser (Cocteau Twins) e Beth Gibbons (Portishead), qui messo al servizio di un impianto squisitamente psichedelico, e ci sarete vicini. Come accade nel brano “Maasika” – concepita in una notte bianca passata in nave tra Tallinn e San Pietroburgo – e in parte nell’ipnotismo dell’ottima “Dancers’ voyeur“.
In chiusura, il notturno brano omonimo – nato da un’improvvisazione in compagnia di musicisti amici –, ben si pone come monito (in elfico) nei confronti di un mondo (umano) che non ha ancora trovato il giusto feeling con la madre terra; sicuro di poter sfidare l’infinito, dimentica la sua finitezza.