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24 Marzo 2017 | Thrill Jockey | brotherspontiak.com |
Forse ai Pontiak sarà piaciuto il nuovo film di Matt Ross “Captain Fantastic“, o forse li avrà fatti incazzare a bestia. Chissà. Infatti, la band dei tre fratelli Carney, che lavorano e vivono in Virginia all’interno della loro fattoria, dividendo tutto con la comunità, ce lo ricorda – come Viggo (Mortensen) che nel film di cognome fa Cash e passa dallo stato brado (nei boschi della costa nord occidentale degli Stati Uniti), al riconsiderare le proprie ideologie, certo non del tutto.
Jennings al basso e organo, Van alla voce e chitarra, Lain alla batteria. Negli anni i Pontiak hanno fatto della costanza e della qualità il proprio vessillo. Quasi un disco all’anno, fin dai tempi dell’acerbo “Valley Of Cats“, inciso per l’etichetta di famiglia Fireproof Records. Mentre l’anno successivo “Sun On Sun” li fa approdare alla Thrill Jockey, con cui il sodalizio continua tuttora – l’album è attualmente in ristampa per la stessa etichetta.
Stupiscono i quasi tre anni di lavorazione per questo nuovo “Dialectic of Ignorance“, ma fidatevi se vi diciamo che ne è valsa la pena. Sarà ché nel frattempo la ciurma dei Carney ha messo in piedi una Brewery di birra (la “Pen Druid Brewing“), o per via del fatto che il nuovo lavoro manifesta un deciso cambio di registro rispetto al suo ben più risoluto predecessore – “Innocence” (2014). Sicuramente i nuovi episodi, pur conservando le matrici di base riconducibili al Southern Rock ed a certa robustezza Stoner, lasciano liberamente emergere un afflato psichedelico in odore di Neil Young e Iron Butterfly.
Forse la vecchia definizione che il mitico Julian Cope diede alla band, ovvero: “Una fredda cavalcata dei Black Sabbath, cantata da Morrison” qui perde lievemente di significato, ma ne guadagna altri. La linea dei magnifici tre di genere rimane dunque inalterata – Black Mountain, Black Angels, Arboretum –, portando invece nuove frecce all’arco dei nostri incredibili contadini della Virginia.
All’interno del nuovo lavoro troverete grande amore per i particolari (come sempre), qui esaltati da una produzione analogica ancora più ricercata che in passato. La cultura americana degli ultimi 40 anni rimane ancora la fucina da cui pescare le proprie intuizioni, ma se prima il rapporto era quello del 3 a 1 (carezze/schiaffoni), oggi il flusso si fa più omogeneo, aumentando il tasso psichedelico – se le vogliamo chiamare carezze chiamiamole così –, amalgamando, rarefacendo anziché triturare.
Scende la botta, aumenta la catarsi, ma il centro è comunque pienissimo.