Black Label Society – The Blessed Hellride

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Dopo alcuni mesi dalla sua uscita ecco finalmente la recensione di “The Blessed Hellride”, ultima fatica dei Black Label Society del buon vecchio Zakk Wylde, che reputo personalmente uno dei migliori in ambito heavy negli ultimi anni.
Sfornato un anno dopo l’eccellente “1919 Eternal”, devo dire fin da subito che quest’album a differenza dei predecessori non riesce a convincermi del tutto, nonostante le ottime premesse e alcuni eccellenti pezzi presenti. Tanto per dire, il primo pezzo “Stoned and drunk” preannuncia l’album come un capolavoro: la Les Paul del chitarrista di fiducia di Ozzy sforna note e riff magnifici, eccezionali per potenza e per l’atmosfera “on the road” che trasuda questo pezzo, colonna sonora ideale di un viaggio in Harley Davidson a tutta velocità lungo le mitiche road americane.
Il problema è che già in “Doomsday Jesus” assistiamo a un calo notevole, con Zakk che cerca di unire il suo hard rock a influenze southern (e prendendo molto dai Down devo ammettere) come spesso è uso fare… facendolo però molto male, riuscendo a dar vita a una canzone con vocals e ritornello discutibili e salvandosi col solo “manico” chitarristico. Un pezzo dalle buone potenzialità ma che non riesce proprio a graffiare come vorrebbe, peccato.
Ma purtroppo le cattive news non finiscono qui: il duetto col mecenate Ozzy Osbourne in “Stillborn” è anch’esso mal riuscito, le voci dei due si amalgamano davvero male e – assolo a parte – devo dire che anche la mitica Les Paul fa cilecca, sfornando riff decisamente monotoni. Sicuramente il peggior pezzo dell’intero album.
Le cose vanno decisamente meglio in “Suffering overdue”, un bel pezzo in puro stile BLS, heavy granitico e dannatamente rozzo in puro stile “Stronger than Death”. Anche la title track si rivela decisamente all’altezza, un pezzo con chitarra acustica in puro american style reso ancora più affascinante dalla ruvida voce del nostro chitarrista, che in questi casi riesce ad essere maledettamente suggestivo.
“Funeral bell” sembra un tributo agli ZZ Top anni ’80 unito alle sonorità ultra-heavy dell’album precedente, un’altra canzone riuscitissima e terribilmente “motociclistica”… dopotutto il motore in copertina col mitico teschio della band è un chiaro avvertimento a quello che troveremo in “The Blessed Hellride”!
“Final solution” è purtroppo un altro vistoso calo, con Zakk che canta facendo quasi il verso all’Ozzy dell’ultimo, pessimo “Down to Earth”, con musiche decisamente poco riuscite, insipide. Qua non ci siamo proprio, e anche la seguente “Destruction Overdrive” pur ricalcando ancora “Stronger than Death” stenta a risollevarci da questo picco negativo, anche se non la si può certo definire una brutta canzone. Per fortuna arriva un altro pezzo lento e suggestivo, l’eccellente “Blackened Waters”, in cui mr. Wylde fa quello che meglio sa fare regalandoci grandi emozioni.
Senza infamia né lode “We live no more”, mentre colpisce l’intro di piano e l’intera “Dead Meadow”, outro eccezionale dal forte sapore country per non dire addirittura “western”, una traccia decisamente diversa dal solito che tutto sommato ci fa perdonare i pezzi meno riusciti dell’album.
Che dire… Zakk è tornato, forse un po’ troppo in fretta: forse con un po’ di calma in più avrebbe potuto evitare certi cali presenti nell’album, episodi davvero insoliti alla luce delle sue ottime precedenti release e che mi hanno personalmente lasciato assai perplesso, senza di essi questo sarebbe stato non solo un buon album di quelli che non devono mancare ai fan accaniti – che resteranno appagati dalle buone tracce recensite – ma un ottimo album di quelli che si possono raccomandare a tutti gli amanti del genere, cosa che onestamente non mi sento di fare, invitandoli a ripiegare sulle precedenti uscite di Zakk e soci.