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Nel corso degli anni il rapporto tra il blues e il mondo del soprannaturale è sempre stato molto forte. Tantissimi sono stati i bluesmen che nelle loro canzoni parlavano del diavolo e di argomenti occulti. Il più famoso di essi è stato senza dubbio Robert Johnson ma negli anni ’90 ha fatto la sua comparsa un bluesman bianco che più di ogni altro ha saputo incarnare questa tradizione. John Campbell era un chitarrista slide di rara abilità dotato di una voce luciferina da far impallidire Tom Waitts. Nella sua breve carriera – ha esordito nel 1988 a 36 anni ed è morto nel 1993 stroncato da un infarto – è stato in grado di lasciare una forte impronta nel mondo del blues segnalandosi come uno degli artisti più originali degli ultimi 15 anni. La sua figura era alquanto inquietante: alto capelli lunghissimi castano scuri e sguardo penetrante, il bianco Campbell aveva tutto del perfetto musicista maledetto. Nelle sue canzoni amava trattare di voodoo, del diavolo e dei personaggi dei film horror raccontandoli con la sua spaventosa voce e il suono tagliente della sua slide. Egli era la perfetta sintesi tra la l’attitudine demoniaca di Robert Johnson (non solo come testi ma anche nell’uso intenso del fingerpicking alla slide) e la potenza vocale di Howlin’ Wolf che personalmente ritengo la più grande voce blues di tutti i tempi.
Howlin’ Mercy è il terzo e ultimo album che segue a distanza di 2 anni il bellissimo “Once Believer”(anche questo consigliatissimo). Rispetto al precedente questo album è molto più potente anche grazie all’uso del dobro elettrificato e di una solida sezione ritmica. “Ain’t Afraid of Midnight” apre il lavoro: la voce tetra e cavernosa si staglia sulla portentosa ritmica guidata dalla lacerante slide, il brano è molto duro e rock oriented con un micidiale assolo di John ed un irresistibile ritornello super adrenalinico. Dopo tanta potenza il nostro decide di misurarsi con “When the Levee Breaks” dei Led Zeppelin; La sua è una rilettura molto personale e di grande impatto. La voce è meno cavernosa del solito all’inizio accompagnata solo dal dobro. Poi la canzone esplode in tutta la sua potenza e John si lancia in laceranti assoli .Grande versione davvero.Come terzo brano troviamo ancora una cover: questa volta è il tocca a Tom Waitts. La sua “Down in the Hole” diventa un inno diabolico, inquietante e la voce di John è ancora più terrificante di quella dell’autore originale (vi pare poco?), la chitarra sembra venire direttamente dall’inferno col suo lento lamentarsi mentre suoni demoniaci e minacciosi si odono in lontananza: versione da mettere i brividi con una intensità rara. Dopo tanta oscura atmosfera il ritmo ritorna sostenuto con “Look What Love Can Do” altro brano dalla forte impronta rock. “Saddle Up My Pony” è un traditional. L’inizio è lento, solo voce e chitarra poi entra la band a sostenere la voce sempre più cavernosa e inquietante di John che inoltre fa vibrare la sua slide ai limiti della rottura delle corde. Dopo circa 5 minuti la canzone pare finire invece poi riesplode in tutta la sua potenza per altri 2 minuti di virtuosismi slide. Brano sensazionale! La successiva “Firin’ Line” è un’altra song tiratissima e adrenalinica tutta incentrata sulla grandiosa voce del leader e sulla sua magica 6 corde. “Love’s Name” è un altro brano di grande atmosfera: suoni notturni che sembrano provenire da un fumoso locale della Louisiana. Con “Written in Stone” e “Wiseblood” trascinato dalla solita tremenda ugola di Campbell e dalle sempre tiratissime chitarre. Per chiudere l’album niente di meglio di “Wolf Among the Lambs” un lamento slide che proviene direttamente dalle paludi del Delta e che richiama spiriti voodoo per poi esplodere in un devastante assalto elettrico nella parte finale.
Questo è un disco di blues elettrico di rara atmosfera, un inno demoniaco lanciato da una delle voci più incredibili che il blues (e non solo) abbia mai conosciuto: Howlin’ Wolf e Robert Johnson da lassù ( o laggiù???) guardano compiaciuti il loro erede che purtroppo dopo pochi mesi andrà a raggiungerli.