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Gli svedesi Therion sono attualmente noti come una delle migliori symphonic-metal band, grazie a totali capolavori quali “Theli”, “Vovin” o l’ottimo EP “A’arab Zaraq Lucid Dreaming”. Ciò che mi lascia perplesso a proposito di questo “nuovo” corso è il fatto di aver messo in ombra vecchie, ottime release improntate su un potente ma allo stesso tempo melodico swedish death/thrash metal. L’ultimo di questi album, che per la precisione erano quattro, è quello di cui ci occupiamo in questa recensione, alla luce dei suoi tanti motivi d’interesse.
“Lepaca Kliffoth”, uscito nell’ormai lontano 1996 e primo album della band per la Nuclear Blast, si pone come intermezzo fra i due periodi amalgamando sonorità puramente metal a melodie sempre più sofisticate che daranno origine, grazie alle ottime produzioni garantite dalla label tedesca, ai ben noti album di cui abbiam già detto sopra. L’equilibrio fra questi due “poli” è perfetto e ci troviamo di fronte a un disco impeccabile sotto ogni aspetto, come possiamo verificare ascoltando l’opener “The Wyngs of Hydra”: la lead guitar Christopher Johnson (chitarrista, cantante e mastermind della band) macina riff granitici fortemente ammiccanti al thrash anni ’80, ispirandosi apertamente a Marty Friedman stando alle stese parole del carismatico leader della band; i cori e le melodie tastieristiche suonate sempre da Christopher danno vita a un’intro semplicemente devastante.
La storia del drago “Melez” invece ci preannuncia i Therion degli anni a venire: in essa gli inserti sinfonici danno vita a un misterioso, suggestivo alone orientaleggiante, un’idea che come i fan ben sapranno verrà approfondita al meglio in “Vovin”. I synths danno vita alla breve, struggente strumentale “Arrival of the Darkest Queen”, prologo a quella che personalmente ritengo una delle migliori composizioni della band, “The Beauty in Black”, il loro primo pezzo puramente sinfonico in cui le voci sono affidate al soprano Claudia Maria Mokri e al baritono Hans Groning, in un contrasto dal tono fortemente drammatico, capace di conferire un’epicità da brividi al brano: qui la potenza è data dalle splendide voci dei due interpreti, mentre il resto della band può occuparsi di tessere incredibili melodie.
“Riders of Theli” è, strumentalmente parlando, il brano più potente dell’intero album, ammiccante ora al thrash di stampo eighties ora al miglior power metal, ma in ogni caso un pezzo che non vuole lasciare fiato all’ascoltatore, assolutamente trascinante. La lenta “Black”, imperniata su massicci mid-tempos e sul duetto vocale fra Christopher e Claudia, è il primo omaggio che i Therion con questo “Lepaca Kliffoth” conferiscono a una delle più osannate band europee degli anni ’80, i Celtic Frost, mentre la ruvida “Darkness Eve” è semplicemente un pezzo di eccellente, fottutissimo swedish death metal, quello d’annata di gruppi culto come Entombed e Dismember ovviamente. “Sorrows of the Moon” è invece il secondo tributo pagato ai Celtic Frost di Tom G. Warrior, stavolta grazie una cover – riuscitissima – di uno dei loro migliori pezzi in assoluto.
Se con “Let the new day begin” i Therion ci propongono un altro brano death, la semistrumentale title track “Lepaca Kliffoth”, un suggestivo e inquietante pezzo epico in cui Johnsson ci fa apprezzare nuovamente la sua bravura a chitarra e tastiera. “Evocation of Vovin” conclude l’album con un altro connubio di heavy metal assassino e melodie arabeggianti, impreziosite ancora dalle voci baritono e soprano; una conclusione che insomma apre ufficialmente le danze per il nuovo corso della band.
In definitiva, questo “Lepaca Kliffoth” è un album riuscito sotto ogni aspetto e pieno di motivi d’interesse per i fan della band e per gli amanti del metal in generale, anche per i frequenti rimandi al thrash di stampo anni ’80. Ma soprattutto, un modo per scoprire un lato al giorno d’oggi poco noto di una band che ha saputo dire egregiamente la sua in altri ambiti, oltre a quello per cui è attualmente nota.