Ummagumma

Introduzione
Nel 1969 la grande stagione psichedelica stava ormai avviandosi verso
il viale del tramonto, ma sebbene la fine sarebbe giunta nel giro di
un paio d’anni, questo grande movimento che coinvolse gli USA e, secondariamente,
l’Inghilterra, si apprestava a spegnersi più che dignitosamente,
con album capaci di segnare la storia della musica.
Solo i titoli più famosi di seguito mettono i brividi: oltreoceano
i Grateful Dead davano alle stampe “Aoxomoxoa” e quello che
con ogni probabilità è il live album più importante
della scena USA, il celeberrimo, superlativo “Live/Dead”;
i “rivali” Jefferson Airplane con “Volunteers” concludevano
il loro periodo psichedelico, i Quicksilver Messenger Service scrissero
la loro pagina nella storia della musica con “Happy Trails”,
Captain Beefheart sconvolgeva col suo “Trout Mask Replica”
e gli Spirit regalavano al proprio pubblico il loro “black album”
intitolato “Clear”.
Al di qua dell’Atlantico la situazione per la psichedelia era un pò
meno rosea: nel 1969 il movimento inglese aveva ormai esaurito la sua
vena e si andava imponendo quella che sarebbe stata la scena progressive,
grazie alle uscite di King Crimson, Caravan, Soft Machine e Genesis.
Ma i Pink Floyd avevano ancora qualcosa da dire e nel 1969 diedero vita
a un’opera molto importante per la psichedelia d’oltremanica.

I
Pink Floyd nel 1969

La band aveva ormai risolto i problemi di line-up rimpiazzando definitivamente
il sempre più alienato Syd Barrett, dopo un breve tentativo di
“line up a cinque” con Syd relegato al ruolo di autore e comunque
emarginato dietro le quinte: “A saucerful of secrets” del
1968 fu una gradita sorpresa per i fan, che videro Barrett praticamente
auto-rimpiazzatosi con David Gilmour. Fu egli stesso a designare il
talentuoso chitarrista come suo legittimo erede, proponendolo agli ormai
ex compagni, e l’amore di questi per il blues arricchirà non
poco gli orizzonti musicali della band, la cui line-up definitiva si
è ormai delineata. Fino al 1982 i Pink Floyd sarebbero stati
Gilmour, Roger Waters, Nick Mason e Richard Wright.
Nel 1969 i Pink Floyd poterono così lavorare parecchio sia dal
vivo che in studio, riuscendo a dare alle stampe ben due album. Nei
primi mesi dell’anno infatti la band presenta nei suoi concerti due
suite sperimentali intitolate rispettivamente “The man” e
“The journey”, le quali uniscono brani già pubblicati
e non Il primo, uscito nel luglio di quell’anno, fu una colonna sonora
realizzata appositamente per il film “More”, diretto da Barbet
Schroeder, in cui propongono brani acustici e rifacimenti che spiazzano
non poco il pubblico; non è tuttavia con le soundtrack che il
gruppo conquisterà il successo, tanto che “More” è
attualmente considerato – non dagli appassionati del gruppo ovviamente
– un episodio minore nella storia del combo inglese.
Il 25 ottobre viene rilasciato il quarto album della band, “Ummagumma”,
un album destinato a fare la storia per la particolarità dei
suoi contenuti. Si tratta di un doppio LP: il primo contenente registrazioni
dal vivo e il secondo registrazioni in studio, un disco diviso in quattro
parti ognuna delle quali realizzata da un membro del gruppo. Una struttura
particolare per questo doppio
LP, ma non più di tanto poiché ad esempio già i
Cream l’anno precedente con “Wheels of Fire” pubblicarono
un album per metà in studio e l’altra metà dal vivo, e
altri ancora l’avrebbero fatto.
La pubblicazione del disco creò qualche problema al gruppo con
la sua etichetta, la EMI, come loro stessi afermarono in una vecchia
intervista: «…perché loro non
credevano in “Ummagumma”, non credevano che avrebbe affatto
venduto bene. Invece ebbe successo e vendette meglio (400.000 copie
finora), molto meglio di quel che tutti pensavano»
.

Il particolarissimo titolo non è altro che un’espressione slang
eufemistica per l’atto sessuale, in ricordo degli anni di Cambridge
e senza alcun altro particolare significato; in Inghilterra viene pronunciato
«ooh-ma goo-ma», mentre in America la pronuncia è
«uh-ma guh-ma».
Un’altra curiosità consiste nel fatto che, per questioni di copiright,
dalla copertina dello studio album disegnata da Hipgnosis dovette essere
rimossa la copertina del vinile del musical “Gigi” che compare
adagiata al muro in basso a sinistra.


UMMAGUMMA
– LIVE ALBUM

Sebbene fosse un vinile composto da soli quattro brani, la parte live
di “Ummagumma” riveste un’importanza fondamentale nella storia
dei Pink Floyd: fino agli anni ’80, quando uscirà “Delicate
Sound of Thunder” nel 1988, questo rimarrà l’unico live
ufficiale della band, la cui unica pecca unanimemente riconosciuta è
quella di non esserci pervenuto in versione video, riproponendoci le
emozioni e le suggestioni visive che questi pionieri erano in grado
di regalare nelle loro esibizioni in pubblico.
Il disco all’epoca destò scalpore anche per la copertina, in
cui posava in bella mostra e perfetta simmetria la strumentazione dal
vivo della band, ripreso dall’altro con tanto di grandangolo; si diceva
che questo autentico arsenale valesse la bellezza di 100.000 dollari,
una voce che tuttavia fu smentita dallo stesso David Gilmour, che intervistato
rivelò che il valore complessivo dell’apparecchiatura era di
30.000 dollari dell’epoca («That’s probably
a bit of an exaggeration. It’s probably worth about thirty thousand
dollars.»
), una cifra comunque di tutto rispetto.
Le due persone che compaiono nella foto sono due celebri roadie della
band, Alan Stiles, cui fu dedicata in seguito “Alan’s Psychedelic
Breakfast”, e Pete Watts.
Le quattro canzoni scelte furono registrate dal vivo nella prima metà
del 1969 e sono ormai confermate le voci secondo cui la band ha ri-registrato
le voci in studio per ovviare ad alcuni problemi di qualità di
registrazione.
Un libro di Glenn Povey e Ian Russel ci rivela però alcune cose
interessanti.
In primo luogo, pare che l’album sia stato registrato non in due, come
segnato sul booklet, ma in tre date: il 26 aprile 1969 al “Bromley
Technical College” a Bromley (Kent), il 27 al “Mothers”
di Birmingham (Warwickshire) e il 2 maggio al “College of Commerce”
di Manchester (Lancashire). Originariamente, la band aveva intenzione
di includere dei pezzi che successivamente non avrebbe mai più
suonato dal vivo, ma il successo dell’album ovviamente impedì
che ciò avvenisse, aumentando anzi la popolarità e la
richiesta di quei pezzi al concerto.
I titoli presentati sono infatti da brivido: “Astronomy Domine”,
“Careul with that Axe, Eugene”, “Set the Controls for
the Heart of the Sun” e “A Saucerful of Secrets”. Sembra
inoltre che dovesse essere inclusa anche una versione di “Interstellar
Overdrive” che giunse nelle mani di John Peel, ma il tape fu perduto.
Si tratta comunque di un live storico, capace nonostante la registrazione
a tratti grezza di trasmetterci le fantastiche atmosfere che i Pink
erano capaci di ricreare sul palco. Sui pezzi in sé c’è
poco da dire, si tratta di capolavori immortali della storia del rock
cui l’esibizione dal vivo con le sue dilatazioni e improvvizazioni conferisce
un ulteriore fascino. Prendiamo la mitica “Astronomy Domine”,
con le se atmosfere lisergiche e spaziali, col pubblico in trance fino
all’applauso finale, semplicemente uno spettacolo impagabile.
O l’introduzione soft e cadenzata di “Careful with tat Axe, Eugene”,
intonata quasi come se l’intera band sussurrasse coi propri strumenti
fino allo spaventoso, leggendario urlo di Roger Waters (che un intervistatore
all’epoca confuse con un donna definendolo davanti al gruppo una “screaming
chick”!), un pezzo che è un autentico inno alla follia e
che Michelangelo Antonioni inserì nella colonna sonora del suo
celebre “Zabriskie Point”, usandolo proprio per la scena finale.
Una song mitica, forse l’incubo folle per eccellenza della psichedelia.
E i due estratti dall’ultimo studio album, una versione di “Set
the Controls for the Heart of the Sun” onirica e orientaleggiante
capace di mandare in trance l’ascoltatore così come le ritmiche
monotòne e ossessive della suite “A Saucerful of Secrets”.
Una sublime esperienza sonora, semplicemente così potremmo definire
questo live che è indubbiamente uno dei più discussi ma
allo stesso tempo più apprezzati dell’intera scena inglese, oltre
che con ogni probabilità il più famoso.


UMMAGUMMA
– STUDIO ALBUM

Si deve a Richard Wright, affascinato dalle ardite soluzioni elettroniche
sperimentate da Karlheinz Stockhausen, l’idea della realizzazione della
parte in studio di “Ummagumma”, un disco che è unanimemente
riconosciuto come la vetta sperimentale dei Pink Floyd, che mai più
tenteranno un’impresa di questa portata nella realizzazione dei loro
album. Wright era in particolar modo preoccupato che la band si stesse
troppo fossilizzando su un certo modo di comporre e un esperimento simile
avrebbe molto giovato al loro songwriting e alla ricerca di nuove strade.
Ognuno si prese così mezza facciata del secondo LP con la possibilità
di sbizzarrirsi dando libero sfogo al proprio genio, o forse alla sregolatezza.
Mentre la parte live fu prodotta dalla band, quella in studio fu affidata
al mentore Norman Smith, già produttore dei primi due album dei
Pink Floyd.
Un album interessante anche dal punto di vista compositivo: Nick Mason,
spesso bersagliato come l’anello debole della catena, da allora non
scrisse più dei pezzi da solo per la band e pure l’apporto di
Wright, che pure promosse l’idea dell’album, scemò notevolmente.
«E
poi Sisifo vidi, che spasmi orrendi pativa che con entrambe le mani
spingeva un immane macigno.»

La prima suite strumentale dell’album è per Wright. “Sysyphus”
è divisa a sua volta in quattro tracce: un’epica e inquietante
introduzione cui segue un vibrante saggio di piano e synths di tre minuti
circa, una serie di campionamenti sperimentali e stridenti che ci mostrano
l’amore di Richard per Stockhausen, fino alla lunga parte conclusiva
di sette minuti con campionamenti che anticipano di parecchi anni la
nascita dell’ambient elettronica fino alla conclusiva, infernale outro
sullo stesso tema dell’intro.
Un autentico caleidoscopio di suoni ed emozioni.
Roger
Waters ci offre invece due pezzi, una “Grantchester Meadows”
fra il tradizionale e l’ambient, coi campionamenti del canto di uccellini
tipici della campagna inglese a far da sottofondo alla chitarra acustica
e alla voce.
Stucchevole invece “Several species of small furry animals gathered
together in a cave and grooving with a pict”, vuoi per la lunghezza
del titolo degna del più ispirato Captain Beeftheart: campionamenti
stridenti e rumori animaleschi a dar vita a un’atmosfera bizzarra e
distorta in un pezzo che è sperimentazione pura. Oltre a una
piccola curiosità: il “Pict” non si sa cosa sia, forse
un “pito”, un membro di una popolazione germanica che invase
la Britannia ai tempi del crollo dell’impero Romano, ma non è
certo neanche questo.
Gilmour
riporta un pò di normalità con un pezzo molto più
accessibile: la prima parte della sua “The Narrow Way” è
improntata su una gradevole chitara blues che si staglia su campionamenti
psichedelici; la seconda sfrutta al contrario la chitarra elettrica
e atmosfere molto più cupe mentre la conclusione si lascia apprezzare
per la sua struttura più convenzionale e per il cantato, caratteristiche
che ne fanno il momento più facilmente apprezzabile dell’intero
secondo vinile.
Totalmente
imperniata sulla batteria è ovviamente la suite finale “The
Grand Vizier’s Garden Party” di Nick Mason, spesso bollata come
la peggior parte dell’album o come uno dei pochi episodi in cui Mason
riesce ad esprimere appieno il suo talento. Personalmente rifuggo da
entrambe queste definizioni, limitandomi a dire che anche questa è
una pregevole suite dalla cadenza ipnotica e un atmosfera orientaleggiante
che offre un’assai degna conclusione a questo “Ummagumma”.
L’unico appunto che si può muovergli sta nel fatto che mentre
ogni pezzo avrebbe dovuto essere suonato solo da chi lo aveva composto,
il flauto nella sua parte pare proprio sia stato suonato dalla moglie…

Tirando
le somme…

Celebre la frase di David Gilmour anni dopo sull’album: «Non
ho proprio scritto niente prima, appena entrato in studio ho cominciato
a fare delle cose qua e la per riassemblarle. Quando ho chiamato Roger
per chiedergli di scrivere le parole mi ha risposto “No”»
.
Pure Nick Mason ha liquidato “Ummagumma” definendo insoddisfacente
la parte live.
Eppure è anche grazie a quest’album ripudiato che i Pink Floyd
hanno costruito il proprio successo. Tirando in causa cifre e statistiche,
“Ummagumma” l’album che lanciò i Pink Floyd negli States,
entrando nella top 100 e raggiungendo il numero 74, risultato ragguardevole
per un gruppo inglese solo al terzo album in studio, oltre ad essere
stato uno dei più venduti album della band prima del “terremoto”
di “Dark Side of the Moon”.

TRACKLIST

DISCHI


Live Album
1. Astronomy Domine (Barrett ) – 8:29
2. Careful With That Axe, Eugene [instrumental] (Gilmour/Mason/Waters/Wright
) – 8:50
3. Set the Controls for the Heart of the Sun (Waters ) – 9:12

4. A Saucerful of Secrets (Gilmour/Mason/Waters/Wright ) – 12:48


Studio Album
Sysyphus (Wright)
1. Part 1 – 1:08
2. Part 2 – 3:30
3. Part 3 – 1:49
4. Part 4 – 6:59
5. Grantchester Meadows (Waters) – 7:26
6. Several Species of Small Furry Animals gathered together
in a cave and grooving with a Pict (Waters) – 4:59
The Narrow Way (Gilmour)
7. Part 1 – 3:27
8. Part 2 – 2:53
9. Part 3 – 5:57
The Grand Vizier’s Garden Party (Mason)
10. Entrance – 1:00
11. Entertainment – 7:06
12. Exit – :38