Anekdoten – Vemod

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Una melodia di mellotron dal taglio retrò apre l’album come se fosse la colonna sonora di un film, soavemente malinconica. Un’atmosfera rarefatta e fredda, che però d’un tratto si anima: chitarre potenti unite a un basso sincopato e un drumming notevole, il tutto impreziosito da un raffinato violoncello. Se proprio dovessimo trovare una pietra di paragone ci appelleremmo ai King Crimson di metà anni ’70, con la loro maestria in grado di regalare emozioni forti, e invece no, questa è la strumentale “Karelia”, la prima traccia del debut album degli Anekdoten, intitolato “Vemod”.
Ormai datato 1993 – e finalmente ristampato dopo anni di attesa – questo primo album della band svedese colpisce per la maturità che già gli Anekdoten sono stati in grado di mostrare: la ricchezza di suoni e l’ispirazione di ogni pezzo ha permesso loro di dar vita a sette brani semplicemente perfetti. Qui sono inoltre dettate le coordinate stilistiche che caratterizzeranno l’intera produzione della band: l’ultimo “Gravity” a dieci anni esatti di distanza non altera di molto il sound della band, con quel gusto retrò che fa di tutti i suoi album delle piccole gemme senza tempo.
“Delicatezza” è la parola con cui definirei i brani degli Anekdoten: ascoltando il modo in cui in brani come “The Old Man and the Sea”, omaggio a Hemingway, o “Where Solitude remains” i nostri riescono a creare un continuo flusso di armonia, sia nei momenti più hard (o addirittura heavy) che in quelli melodici, con pure qualche incursione jazz – soprattutto nel secondo brano – ci si rende conto che siamo di fronte a qualcosa di assolutamente magnifico.
Quello che forse i nostri mostrano in “Vemod” è un’ispirazione Crimsoniana che a tratti rischia di metterne in secondo piano la personalità: la leggiadra “Thoughts in Absence” non sembra un pezzo preso da “In the Wake of Poseidon”? Ispirarsi a tali maestri è un motivo di merito – quanti posson dire di suonare in questo modo al giorno d’oggi? – ma non deve diventare un limite e i nostri sembrano accorgersene dando vita a “The Flow” canzone oscura e criptica a partire dai testi e caratterizzata dall’ossessivo basso di Jan, inquietante anche nelle vocals e ben aiutato dal violoncello della Dahlberg, ora armonioso e ora stridente al punto da far accaponar la pelle.
Semplicemente commovente è la strumentale “Longing”, forse il pezzo più personale che gli Anekdoten sfornano, in netto contrasto con la conclusione agghiacciante di “The Flow”: un magnifico duetto fa chitarra acustica e violoncello, con basso e corno in sottofondo, che dà vita a un’atmosfera malinconica e struggente come da un titolo del genere ci si può aspettare. Sicuramente la vetta emotiva del disco, fredda e maestosa come pochi altri loro album.
Un’apertura epicheggiante c’introduce invece in “Wheel”, il brano conclusivo: qui duettano Jan e Anna Sofi con due voci appena appena percettibili, mentre gli altri strumenti si combinano in note aspre e spesso volutamente dissonanti che si oppongono a momenti di quiete quasi fosse un duello che non ha fine, se non nel progressivo fading che conclude canzone e intero album allo stesso tempo.
Anche il debutto degli Anekdoten si è rivelato quindi un album di assoluto livello come il resto della discografia della band: musica altamente emotiva, realizzata con un’eccezionale perizia tecnica e capace di sorprendere ad ogni ascolto. Un grandissimo album per una delle migliori progressive band attuali, forse un pò difficile da reperire – anche se è stato appena ristampato vi assicuro che è stata dura – ma che una volta in stereo potrà dare grandissime emozioni a chi ama questo genere di sound. Vivamente consigliato.