Menomena – I am the Fun Blame Monster

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Raramente capita di trovarsi ad ascoltare un album e restarne affascinati senza un preciso perchè.
Quest’album dei Menomena è un ottimo mix di elettronica e strumenti, pulsante e vivo, caldo e delicato che dipinge paesaggi immensi (Oahu) con suoni cari ai Sigur ros, si lancia in discese tanto psichedeliche quanto pop (E. is stabile, che ricorda gli Yuppie flu + impegnati), si perde piacevolmente nel classico sound indie americano (The late great Libido, con la sua chitarra grossa e sporca e ottoni di sottofondo) per poi ritrovarsi e fuggire via con gli otto e passa minuti di Monkey’s back, in cui succede di tutto, da un basso jazz che si abbandona alla melodia, alla chitarra noise che carica il pezzo al ritorno in scena con una voce rotta e angosciante supportata solo dal synth.
Un album estremamente vario ma non per questo dispersivo, primo lavoro di una band che mostra di avere ottime idee ma, vuoi la produzione o il fatto di essere ancora troppo Underground, non sfruttate al meglio.
La cosa che però impressiona di più è la facilità con cui il gruppo passa da un arrangiamento all’altro… mischiando suoni e strumenti tanto da creare improbabili scenari immaginari per descriverli…
Twenty Cell Revolt? Come se i Gomez, colti da malinconia, andassero a trovare in sala gli Zero7 (di certo non le persone più adatte in questi casi) proprio in quel giorno in cui si ritrovano a provare senza corrente.
E la seguente strongest man in the world? Un Maximilian Hecker in veste grigia che si lascia convincere dagli Interpol a suonare un loro pezzo in versione Mùm.
E quella dopo ancora? Con quell’intro di chitarra liquida alla Nick Mc Cabe che… si potrebbe andare avanti all’infinito
Insomma, unica cosa certa è che l’allegria non la fa da padrone, ma definire il disco triste e cupo sarebbe eccessivo.
Direi più intimo e solitario. Come se avesse paura nel lasciarsi ascoltare, seducendo l’ascoltatore senza mai donarglisi totalmente.
Affascinante.