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Nel 1999 rimasi davvero colpito da questo “Wating the Dawn” dei finlandesi The 69 Eyes: osannati da un po’ tutta la critica, i cinque finlandesi già assai noti in patria con tre album – difficilmente reperibili se non d’importazione – ebbero modo di farsi conoscere a tutto il mondo grazie al contratto stipulato con la Roadrunner.
La band capitanata da Jyrki proponeva un pregevole misto fra rock sanguigno di vecchia maniera, un po’ – poco eh – anni ‘70 e un po’ – molto – glam anni ’80, e atmosfere gotiche stile Sisters of Mercy. Un connubio interessante e davvero originale, poi abbandonato in favore di una maggiore propensione nei confronti della band di Andrew Eldritch – basta sentire come è cambiato il registro vocale di Jyrki… – che ha tolto indubbiamente un po’ di originalità alla band e dato luce a un “Paris Kills” purtroppo altalenante.
Ma questo excursus a parte è di “Wasting the Dawn” che dobbiamo parlare, che è davvero un gran bell’album. L’attacco è un esempio di rock aggressivo e genuino: la sequenza “Truck on” e “Lay down your arms, girl” è semplicemente assassina e fa capire che la band ha intenzione di fare le cose sul serio, coi suoi riff sporchi ed efficaci e Jyrki – che a suo tempo con poca modestia ha dichiarato di ispirarsi al Re Lucertola in persona… – scatenatissimo. La title track è una maledetta ballata notturna e “vampiresca”, molto gettonata fra i gothsters, che dà il primo tocco goth all’album e influenzerà tutta la produzione successiva.
Dopo questo intermezzo si torna però a rockeggiare in piena regola con una “You ain’t the reason” dal taglio glam e il pesante hard rock di “Lazarus heart” e “Who’s gonna pay the bail?”, che fanno rimpiangere la scelta di Jyrki di spostarsi su pur belle tonalità baritonali che imitano palesemente Andrew Eldritch, una scelta che personalmente continuo a non capire e sulla quale il nuovo album della band, previsto per questo 2004, potrà dare il giudizio definitivo.
“All american rock” per la traccia numero 7, la maledetta e strafottente “All american dream”, e un altro tributo al rock USA impregnato dell’odore di asfalto, dei rumori delle Harley e di tutti i classici stereotipi del genere, i 69 Eyes lo fanno con “Be my Speed”. Siamo arrivati alla traccia 8 e il risultato è più che soddisfacente, i bravi finnici ci hanno regalato dei brani di ottima fattura, resta solo da chiudere in bellezza, e loro non si tirano certo indietro: prima con “Hand of God” ci regalano un acido pezzo in puro stile stoner, poi con “Next stop Paradise” un bell’incrocio di goth-glam-rock anch’esso divenuto uno dei loro pezzi più noti, e infine ancora una chiusura in puro stoner figlio dei gloriosi seventies, “Starshine”. Fine del disco, e non possiamo che essere soddisfatti di quanto abbiamo ascoltato.
“Wasting the Dawn” è fra gli album dei 69 Eyes usciti per la Roadrunner quello maggiormente improntato al rock e alle produzioni vecchio stile, sicuramente quello più personale alla luce delle scelte successive di ispirarsi maggiormente al goth del passato e del presente (in “Paris Kills” alcuni brani mi son sembrati ispirati a una versione più dark dei connazionali H.I..M.): intendiamoci, non si tratta di album brutti, però rispetto a questa pietra miliare della loro discografia i 69 Eyes hanno in seguito perso molta varietà e con essa, purtroppo, molta personalità, in favore di un adeguarsi a clicheés goth ormai decisamente troppo abusati.
Difetti che invece non sussistono in “Wasting the Dawn”, e chi ancora da appassionato del genere, sia goth sia rock, non conosce quest’album farà bene ad ascoltarselo.