Marjorie Fair – Self Help Serenade

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Nonostante una lunga ricerca in rete non sono riuscito a scovare nessuna notizia circa questi Marjorie Fair, se non che sono statunitensi e hanno da poco pubblicato un album dal titolo “Self help Serenade” nientemeno che con la Capitol/Emi. Inutile dire che per quanto mi riguarda tutto questo mistero che aleggia intorno al gruppo non fa altro che aumentarne il fascino. E’ come se avessero scelto che a parlare di loro fosse la musica, la loro splendida musica, un folk-rock psichedelico dannatamente retrò nell’ispirazione ma opportunamente moderno nei suoni. Tracce del primissimo (e migliore) Jackson Browne sono evidenti nell’accompagnamento della chitarra acustica, a volte spuntano omaggi al progressive pastorale dei gloriosi Barclay James Harvest di dischi troppe volte dimenticati come “Octoberon”, mentre echi floydiani si rincorrono durante gli squarci visionari di una chitarra elettrica davvero efficace, sia nei soli (pochi) che nelle ricerche d’atmosfera (moltissime), e che ricorda, ovviamente, il Gilmour dei primi anni 70. La batteria costruisce, con gusto ed abilità, sconfinati spazi dal grande respiro, ossia i soliti ma “orgasmatici” mezzo tempo in 4/4, efficacissimi, ariosi, e perfetti nel concedere l’enfasi alle bellissime trame melodiche, ora di una voce straordinaria, sia nelle lead vocals che nei controcanti, ora al resto degli strumentisti. Da panico l’inizio del disco, “Don’t believe” accoglie l’ascoltatore con un ritornello d’altri tempi, “How can you laugh” riesce a farci chiudere gli occhi mentre si è cullati da melodie di gran classe ed effetto, “Stand in the world” ci fa essere felici di essere degli appassionati di musica, “Silver gun” è una dolcissima e al contempo dolorosa fitta al cuore. Avrete capito che i Marjorie Fair non suonano musica per chi ricerca svago o divertimento. Tutt’altro: per tutta la durata del disco si fa evidente una certa tristezza che comunque non arriva mai a sfociare nella depressione tipica di artisti come i Songs Ohia o i Red House Painters, sebbene qua e là qualche tratto vicino al Kozelek più solare sia piuttosto riconoscibile.
Cos’altro aggiungere? Questo è un disco che regalerà tantissime emozioni, uno di quei dischi che sarebbe un vero peccato trascurare. La bellezza nascosta in “Self help Serenade” è indiscutibile, e come ogni tesoro va cercato con pazienza e devozione, vista la difficile reperibilità del cd. La copertina non vi aiuterà, è una delle più brutte e pacchiane che mi sia capitato di vedere negli ultimi anni, pertanto sarà fuorviante per chi si troverà fortuitamente davanti il disco dei Marjorie Fair. Ma vi assicuro che il contenuto musicale è di straordinaria fattura. I Marjorie Fair arrivano dal passato, approdano alla musica contemporanea e si pongono come ideale alternativa ai vari Franz Ferdinand, Keane, Maroon 5, che pur essendo buonissime bands non hanno davvero niente a che vedere con la classe espressa dai Marjorie Fair. Il confronto risulta davvero impietoso. Un consiglio: cercateli.