Phish – Undermind

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Recensire un disco dei Phish è sempre impresa ardua; la band di Trey Anastasio è sempre stata una di quelle che hanno diviso la critica, almeno per quel che riguarda i loro lavori in studio. Dal vivo si è tutti concordi nel ritenerli eccezionali. Capita spesso infatti che un loro album venga definito capolavoro da alcuni e disco mediocre da altri; E’ vero che questo succede più o meno per ogni disco che viene recensito, ma quando si parla dei Phish la cosa assume livelli enormi. Di solito i pareri contrastanti sono dati dal background musicale del recensore, in questo caso invece capita che persone con gusti simili abbiano pareri totalmente diversi. Con una premessa simile capirete che il giudizio che darò del disco sarà una mia opinione del tutto personale, molti di voi concorderanno con me, molti altri no. Fatta questa doverosa premessa veniamo ora ad “Undermind”. Partiamo con le brutte notizie: la band ha dichiarato che questo sarà il loro ultimo album, infatti dopo la tournè che lo accompagnerà i Phish si scioglieranno. Sia che li amiate o che li odiate questa rimane una perdita enorme per tutto il mondo della musica perché Anastasio e soci da oltre 20 anni hanno ridato fiato e rilanciato un modo di concepire il rock che sembrava perso per sempre; un universo musicale che nel passato è stato capace di regalarci emozioni immense e lo stesso ha fatto da quando i nostri sono scesi in pista. Dietro di loro si è sviluppato tutto il movimento delle jam band che è senza dubbio una delle cose migliori e più genuine che il rock ha prodotto nell’ultimo ventennio. Dal canto mio ritengo che i Phish siano la band più geniale degli ultimi 25 anni e lo dico senza mezzi termini. Il rimpianto aumenta dopo l’ascolto di “Undermind” perché questo è senza ombra di dubbio un signor disco, non raggiunge il livello dei capolavori del passato come “Lawn Boy” o “A Picture Of Nectar” ma si piazza senza dubbio tra le cose migliori che i nostri hanno prodotto. Rispetto al passato in questo album il polistilismo del gruppo è meno evidente. Come per il recente passato i Phish ci mettono molta melodia dando grande spazio alla forma canzone anche se non mancano certo le sperimentazioni e le follie tipiche della band. Qua e là inoltre si odono certi richiami al passato e un omaggio ai padri putativi di tutto il movimento (i Dead ovviamente) a segnare quasi un testamento sonoro del gruppo. Ma oltre a queste considerazioni c’è soprattutto la musica, una grande musica. Ascoltate ad esempio la title track, brano che richiama chiaramente i padri del passato ma che mantiene allo stesso tempo intatto lo stile tipico dei Phish con la voce di Anastasio un pelo sopra alle altre, la sua chitarra che cesella di fino prima e poi esplora oltre lo spazio, mentre le tastiere ci mettono quel filo di sperimentazione che da sempre contraddistingue la phish music. Grande inizio. Si prosegue con “The Connection” una gradevolissima ballata rock molto melodica e spensierata con il suo fischiettare allegro. “A Song I Heard The Ocean Sing” ci restituisce il lato più sperimentale del gruppo, non abbandona mai la forma canzone ma come da manuale dei Phish viaggia nell’universo sonoro del gruppo, grande protagoniste la chitarra di Anastasio, sempre più anarchica, che si sposa alla perfezione con le tastiere impazzite di Page McConnel. Proprio McConnel è l’autore della successiva “Army Of One” una straordinaria slow ballad pianistica di grandissimo effetto. Splendida la prova vocale di Trey che accentua il lato triste e malinconico del brano , favoloso l’assolo centrale di chitarra. Fa rabbia che un gruppo in grado di produrre canzoni di questo livello decida di smettere. “Crowd Control” si attesta tra le cose più classiche del panorama jam, ottima melodia e uso corale delle voci da manuale e quella propensione ad essere dilatata a dismisura durante i concerti. Gli amanti dei Phish più sperimentali e pazzoidi avranno di che “godere” con lo strumentale” Maggie’s Revenge”. Chi conosce un po’ la musica dei nostri avrà già capito di che genere di canzone si tratta, agli altri posso solo dire di ascoltarla perché non ci sono parole adatte a descrivere questi 100 secondi di puro delirio “phishiano”. “Nothing” rientra decisamente più sui canoni del passato con il classico gioco di voci che è da sempre uno dei punti di forza della band. “Two Versions Of me” è invece una sorpresa: a rischio di passare per ridicolo io dico che dentro a questo brano ci sento molto Neil Young. Sarà per quell’uso quasi distorto della chitarra e per il tono lievemente malinconico della melodia e della voce, splendida, di Anastasio ma i richiami a cavallo pazzo mi sembrano forti. Si tratta comunque di una grandissima canzone, anche alla fine del viaggio i Phish sanno sempre sorprendere l’ascoltatore. “Acces Me” è ancora uno standard del gruppo sempre in bilico tra forma canzone e sperimentazione sonora. “Scent And Subtle Sounds” riprende l’intro dell’album e si candida a diventare come una delle song chiave dei concerti (almeno quei pochi che ancora i nostri faranno), è una delle più classiche jam song dei Phish così geniale ed imprevedibile con la band che si muove all’unisono tra sperimentazione e improvvisazione. Sensazionale a dir poco. “Grind” è un brano per sole voci di poco meno di un minuto, anche questo quasi uno standard del gruppo che in quasi tutti i suoi album colloca un pezzo simile. “Secret Smile” è una ballata con pianoforte di grandissimo impatto emotivo. Anastasio canta in modo sublime sopra ad una sezione archi lieve in sottofondo. Undermind si chiude qui in modo triste e malinconico; non conosco i motivi che hanno portato il gruppo alla decisione di sciogliersi ma i Phish che si ascoltano in Undermind non sono certo una band in declino, sono geniali, ispirati ed imprevedibili come sempre. Undermind è un grande disco, in giro non ci sono altre band in grado di fare questa musica a questo livello. Da oggi il mondo del rock sarà molto più povero senza il genio dei Phish, consoliamoci con Undermind splendido biglietto d’addio di una band unica.