Indipendent Days Festival 2004: Prima giornata

Sapeva di festival sfortunato quest'edizione del Indipendet Days, le defezioni si sono susseguite durante i mesi precedenti partire dai Soulwax , che hanno trovato più redditizio far ballare un altro pubblico con il bastard pop di 2 many djs che proporre in Italia i brani del nuovo “Any minute now”, passando per i Modest Mouse, gli Shins, i Ponys fino ad arrivare alle mancanze dell' ultimo minuto di dEUS e Keane, i primi per problemi di salute e i secondi per un' apparizione al popolare “Late Show” di David Letterman. Era triste vedere ragazzi con la maglietta di “A bar under the sea” che ti fermavano per porti un'unica fatidica domanda “Ma a che ora suonano i dEUS?” e a te stava il terribile compito di dire che quella sera, il gruppo, non ci sarebbe stato e poi di sentirsi rispondere “Ma come? io sono venuto direttamente da (nome di città a vostra scelta) per vedere Tom Barman..”

Ma partiamo dall'inizio: dopo una chilometrica coda davanti alla popolatissima cassa degli accrediti sotto un terribile sole bolognese che mi obbliga a sentire da lontano i primi gruppi, tra cui purtroppo anche i Julie's Haircut, riesco ad assistere alla performance dei Tre Allegri Ragazzi Morti. Il trio di Pordenone si presenta come al solito con le maschere al grido di “Venghino, signori, venghinoooo”, Davide mette in mostra la sua vena masochistica suonando tutto il set con i pantaloni di pelo del costume di El Tofo, fsperando forse di poter inscenare la gag dello spirito, cosa che, però, non avverrà. I tre non brillano certo per tecnica e stilismi vari e fanno così leva sull' affetto di chi con canzoni come “15 anni già” o “batteri” ci è cresciuto. La scelta dei brani proposta non è la più azzeccata, la mancanza di pezzi come “La nuova identità” o “La mia foto” non giova certo alla loro esibizione. Un set caratterizzato anche da una pessima acustica che ha penalizzato lo spettacolo de la vida e de la muerte di Toffolo e soci, e soprattutto un live dedicato a chi, a quindici anni, sfuggiva dalla noia e dalle bugie dei genitori rifugiandosi nelle loro parole e urlando a squarciagola “Ogni adolescenza coincide con la guerra…”.

Appena un veloce cambio di strumenti ed è l'ora dell' ex Queens of The Stone Age, Nick Olivieri, con i suoi Mondo Generator. Ormai abituati ai suoi eccessi, gli urli, i rutti e gli insulti non stupiscono più nessuno, anzi, iniziano perfino ad annoiare. Fortunatamente vengono proposti alcuni brani pescati dal repertorio del suo ex gruppo che risollevano la qualità dell'esibizione che stava ormai ristagando in una pozza di disturbo e fastidio.Nel finale, in aiuto dell' amico, arriva Mark Lanegan che duetta in una bella versione di “Auto Pilot” dei QOTSA.
La voce calda e personale dell' ex frontman degli Screaming Trees è la protagonista del set successivo. I pezzi del suo nuovo lavoro, “Bubblegum”, si alternano a quelli dei dischi precedenti in un set unico ed emozionante. Mark è distaccato, freddo nel suo atteggiamento da rockstar che ammalia il pubblico, e siesibisce così in un'ora di live elegante e suggestivo proponendo brani come “Hit the city” e “Sideways in reverse”. Verso la conclusione, Nick Olivieri, ricambia il favore facendo i cori di “Metamphetamine blues” e mettendo la parola fine allo show di Lanegan. Pur avendo assistito allo spettacolo dalla collinetta e pur non essendomi mai troppo interessata a quest'artista, ho apprezzato molto la sua prova, merito probabilmente della figura carismatica di Mark e delle sue canzoni potenti e coinvolgenti, cose che non in molti possono vantare.
Ora è la volta dei Libertines. Il quartetto inglese propone un live “caciarone” e irriverente, come nel loro stile. Alle loro spalle campeggia un'enorme riproduzione della copertina di “Up the Bracket” che rende un pò più interessante la scenografia del palco.. fin qui molto povera. La colonna portante è Gary Powell che dietro le pelli riesce ad essere preciso e devastante allo stesso tempo. E' grazie a lui che il resto della band (sempre priva di Peter “eccomistoperdisintossicarmi” Doherty) riesce a cazzeggiare alla grande senza doversi preoccupare tanto della resa tecnica… Comunque nel set dei Libertines si susseguono canzoni tratte dal fortunatissimo “Up the Bracket” (quelle che riescono meglio a scaldare il pubblico) e pezzi del nuovo “omonimo” album che comunque superano abbastanza bene la prova dal vivo. E' stato un live intenso, divertente e sicuramente molto rock, ma che, apparte una bella sferzata di energia, ha lasciato nei presenti ben poco da ricordare. Alla fin fine è stata una buona apertura per quello che stava per succedere, cioè il live act dei Franz Ferdinand.
Forse l'esibizione migliore della serata la regalano i Franz Ferdinand. Fin dalle prime note di “Cheating on you”, Kapranos e soci trascinano i presenti in un misto di danze ed ancheggiamenti, il basso un po' dark wave e le chitarre funkeggianti non fanno altro che regalare energia e potenza al loro suono, che riesce a sfatare qualsiasi dubbio si potesse avere su di loro. Questi “nuovi” fenomeni proventienti dalla Scozia sanno bene come muoversi e come far ballare un po' tutti. Brani come “Take me out” o “Matineè” vengono accolti con un calore davvero spettacolare, tutti ballano e cantano, sorridono e si divertono nel set che molto probabilmente è quello più memorabile di tutta la giornata. Dopo una serie di canzoni nuove e b-sides, i Franz Ferdinand, si lasciano andare in una frizzante versione di “Dart of Pleasure” che racchiude in sè tutto lo spirito e l'essenza del bellissimo spettacolo del quartetto.
Particolare è lo show dei Sonic Youth, che appare un pò fuori dal contesto e dal tempo. Ovviamente c'è tutto, ci sono le lunghissime code strumentali, le giravolte di Kim, i suoni delle chitarre violentate da Thurston, quel pizzico di psichedelia, i riverberi noise e quant'altro, ma forse quello che manca davvero è l'effetto sorpresa che dopo questi venticinque anni di SY sembra essere un po' sparito. Poche canzoni accompagnate da ampie divagazioni di silenzi e suoni, ottime versioni delle vecchie e classiche “Teenage riot” e “Drunken Butterfly” o della nuova “Pattern recognition”, pezzo migliore di “Nurse”. Dall'alto del palco le chitarre vengono seviziate con la solita rabbia, le note si distorcono sotto le loro mani, gli amplificatori fischiano, il basso sibila sotto gli occhi della bella Kim Gordon che, come per un po' tutti i membri, non sembra invecchiare mai, come se rimasti intrappolati negli anni '80 facessero delle escursioni temporali per farci assaporare ancora il loro sound. Un ottimo set, nulla da ridire ma, come ho detto prima, un po' scontato e banale, come se si sapesse già cosa avrebbero proposto, come se, diventati ormai stereotipi di loro stessi, riproponessero gli stessi gesti all' infinito.
Pur non avendo avuto nessuna eclatante rivelazione (a parte i Franz Ferdinand naturalmente) questo Indipendent day(s) è stato un'esperienza divertente e piacevole, sarà che i festival così non sono fatti solo di musica e concerti ma sopratutto di incontri, sorrisi e abbracci, risate sotto il sole e occhiate quando viene sera, di bolle di sapone, di “ah ma dai! Anche tu qui” o di “Oddio ma hai visto chi c'è?”, di persone e di urla, di chiacchere e birra. Ma tutto questo è un'altra storia, quella che ognuno vive in modo diverso e personale.

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