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Mi sento forzato dal cominciare dicendo che il paragone principale per i Dogs die in hot car, quintento cool-pop proveniente dall’inghilterra, è così evidente che si rischia l’impersonificazione.
I dogs sembrano (o forse sono) gli XTC a tutti gli effetti. Fortunatamente per loro (e sfortunatamente per noi) la fama degli XTC non è poi molto vasta, si riduce al massimo ad una o 2 canzoni, a qualche copertina o allo strano nome. Per semplificare le cose dirò che i Dogs die in hot car sono come i Blur del periodo Modern life is rubbish, ma con un Damon Albarn in più, si parla quindi di un sound sfacciatamente classic pop. L’album personalmente,lo trovo fantastico: è fresco e coinvolgente, gioca molto sugli arrangiamenti, sull’uso delle chitarre che, invece di essere “alla Oasis” ritmano, fanno stacchi, tengono il tempo serratamene e raramente si lanciano in assoli. Si ricorre pochissimo all’uso di riff portanti, la vera forza sta nel ritmo e nei suoni, che coinvolgono ottimamente le tastiere in tutte le loro sfaccettature (organi, piano, synth e, quando serve, basi d’archi o xilofono) e il sapiente uso delle cinque voci, alternando le accoppiate maschili a quelle uomo-donna. A completare il tutto c’è una buona dose di spensieratezza, un humor inglese (Paul Newman’s Eyes) un po’ sfacciato che ormani in Inghilterra nessuno ha più (Scissor Sisters a parte)e voglia di divertirsi.
Brani come GodHopping (un pop funky che fa subito entrare in spirito DDIHC) Apples and Oranges (niente a che fare con l’omonima track dei Pink Floyd) e I love you ‘cos i have to (coinvolgentissimo secondo singolo con un chorus che sfiora l’epico) comandano di muoversi e tenere il ritmo, chiedendo solo un sax per essere quasi Madness. Longer e Paul Newman’s eyes, con il loro basso quasi slappato in prima linea riportano al sound anni 80 diviso tra un accenno di dance e un pop vecchio stampo che si ritrova in Celebrity Sanctum (pagando pegno ai Beatles), Modern Woman e l’incalzante Pastime and Lifestiles. Ce n’è per tutti i gusti quindi, ed è quasi impossibile non rimettere play dopo la conclusiva Glimpse at the good life.
Un disco che entra dentro perché sa coinvolgere, e conquista con quell’anima divisa tra brani quasi da colonna sonora di un musical e l’immagine della band seria e composta, di 5 persone che si impegnano seriamente per riuscire a divertire. Obiettivo centrato!