Marianne Faithfull – Broken English

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Il nome di Marianne Faithfull, fà pensare a due cose: la sua incredibile voce, e ad un album come Broken English, il suo capolavoro. Trattasi di un disco uscito nel 1979, ma, credetemi, di una attualità sconvolgente. Il fatto di essere stata una groupie degli Stones, ed in particolare di Mick Jagger, non deve averle granchè giovato agli inizi della sua carriera musicale. Troppo facile pensare a lei come ad una delle tante raccomandate. Non che i suoi lavori precedenti fossero capolavori, ma crescere artisticamente all’ombra dei grandi nomi è una trappola: facile iniziare, difficile resistere. Il Pubblico non sbaglia (quasi) mai. Ma Marianne Faithfull è un talento vero, una grandissima. Dicevamo della voce: incredibilmente roca, vissuta, ma al contempo molto musicale, tecnicamente validissima. Broken English è un disco quasi perfetto dall’inizio alla fine. Uscito in pieno periodo Punk, destò all’epoca parecchio scalpore: nel marasma non poteva passare inosservato. Uno strano elettro-rock, notturno, malato. Un mix incredibilmente riuscito di musica elettronica e cantautorato “colto”. Aleggiano le ombre di Lou Reed, Patti Smith, Bob Dylan, ma anche synthesizer a gògò, sonorità che ricordano gli Ultravox periodo John Foxx, certe cose dei Suicide.
8 canzoni, alcune delle quali grandissime. Broken English, fantastico brano di apertura, uno sfondo elettronico degno dei Kraftwerk, la voce è pura carta vetro.
Witches’song è una ballata elettro-acustica, ritmica sincopata, gradevole e delicata.
Brain Drain è un Blues scarno e malsano; la voce è praticamente perfetta: il fantasma di Robert Johnson aleggia per l’aria. Guilt è un altro pezzo-monster dell’album. Su di una ritmica vagamente reggae, la Faithfull crea una delle più belle canzoni di fine anni ’70: qui tutto è davvero perfetto, non ci sono parole.
The Ballad of Lucy Jordan è una ballata stralunata e vagamente dylaniana, eseguita sul solito “tappeto” elettronico. Molto particolare.
What’s the Hurry è il brano meno riuscito: un discreto rock ritmato e orecchiabile.
Working Class Hero e la conclusiva Why d’ya do it sono ancora due canzoni indimenticabili: la prima è oscura e conturbante, con una voce tenebrosa come non mai. La seconda è un reggae rabbioso e distorto, Marianne canta con ruvida dolcezza. Una segnalazione và fatta al chitarrista di questo disco (un fedelissimo di Marianne): Barry Reynolds, semplicemente perfetto.
Nonostante una carriera ormai più che trentennale, Broken English rimane a tutt’oggi l’album più completo ed importante di Marianne Faithfull. Imperdibile.