Savatage – Handful Of Rain

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I Savatage hanno segnato nel corso degli anni pagine importanti per la storia dell’heavy metal, ma nonostante questo non hanno mai raggiunto lo status di band “famosa”. Non propriamente un male da un punto di vista strettamente artistico, poiché questo ha contribuito alla realizzazione di una forma d’arte musicale sempre sincera e mai permeata da quel fastidioso senso manieristico tipico di bands quali gli ultimi Iron Maiden. Purtroppo la storia dei Savatage è stata segnata da un evento tragico: la prematura scomparsa del chitarrista Criss Oliva, non propriamente un guitar hero, non propriamente una rockstar, casomai un chitarrista dal grande gusto e dal grande feeling, una persone dall’animo schivo e delicato, un caso più unico che raro nel mondo dell’heavy metal, capace di incantare con i suoi toccanti fraseggi dischi bellissimi come “Gutter Ballett”, “Streets” e il sottovalutato “Edge of Thorns”. Uno stile emozionante il suo, che insieme alle doti compositive del fratello Jon segnò la prima parte di carriera dei Savatage. La scomparsa di Criss fece pensare ad un inevitabile scioglimento, in quanto sembrava essere un tremendo aggravante alla già delicata situazione di Jon Oliva, assillato da gravi problemi di dipendenza dall’alcool. E invece nell’Agosto del 1994, a pochi mesi dalla morte di Criss, irruppe nei negozi di tutto il mondo questo “Handful of Rain”, di cui mi accingo a parlarvi. Niente proclami di ritorno, nessuna anticipazione riguardo chi avrebbe dovuto sostituirlo. L’ingrato compito toccò alla fine ad Alex Skolnick, reduce da prove non proprio esaltanti con i suoi Testament, da cui si congedò per testare nuove vie artistiche, che presto lo vedranno addirittura misurarsi con il jazz rock a fianco di Micheal Manring. Sulle doti tecniche di Skolnick nessuno aveva dubbi, semmai c’era da verificare quanto Alex sapesse “emozionare”. L’inizio del disco, affidata al thrash metal di “Taunting Cobras”, sembrava mettere in luce uno stile duro e granitico, un vero pugno in faccia, una prova di forza senza compromessi, in cui tutta la furia di Skolnick veniva fuori come ai bei tempi dei migliori Testament. Ma da ora in poi comincia un altro disco, poiché inizia a farsi largo un alone di umor nero in mezzo a toccanti brani come la title track o la intricatissima “Chance”, terreno fertile per il singer Zackary Stevens, qui alla sua seconda prova con i Savatage, per mettere in luce le sue doti vocali. Trovano spazio quindi una serie di episodi votati alla malinconia, in cui “Stare into the sun” risplende per lo stile riflessivo, con toccanti interventi di Alex, delicato come non mai ed incredibilmente a suo agio con lidi stilistici davvero impensabili per uno con la sua storia. “Castles burning” e “Watching you fall” proseguono questo drammatico viaggio nelle memorie di Jon Oliva, qui presente come produttore, tastierista e compositore ma comunque fuori dalla line-up ufficiale, e sottolineano una sensibilità corale davvero straordinaria da parte di Zackary e Alex, vere punte di diamante di questo disco, l’uno con toccanti melodie vocali, l’altro a ricamare dietro con una chitarra incantevole e posseduta dallo spirito di Criss che davvero sembra esserci dietro ogni singola nota di queste splendide composizioni. “Nothing going on” è una concessione di piacevole ed adeguata energia che lascia presto il posto all’ennesimo capolavoro del disco, un brano in omaggio alla memoria del grande Criss Oliva, “Alone you breath”, letteralmente un brano da lacrime, forte di una carica emotiva come è raro incontrare nei dischi di Heavy Metal. Tutti sono protagonisti di prove davvero esaltanti su questa song, da Alex A Zak, da Steve a Johnny, ma sono le liriche questa volta a lasciare un segno indelebile nella memoria. Jon riesce con innata abilità ad esprimere tutta la sua disperazione causata dalla morte dell’amato fratello, tutto il rammarico di non aver vissuto tutto ciò che avrebbe voluto, il rammarico di non averlo sempre capito fino in fondo, i suoi sogni mai svelati, le sue paure mai confessate, fino a vederlo scivolare via in una maledetta notte di pioggia. Vi invito ad ascoltare questo brano, amanti del genere e non, poiché siamo di fronte ad uno straordinario pezzo d’ arte musicale, e uno squarcio dell’anima di questi artisti vive tra queste note.
Concludendo, “Handful of Rain” non sarà il più bel disco dei Savatage tantomeno il più rappresentativo. Probabilmente è l’episodio più toccante della loro carriera, per questo meritevole di attenzione da parte di chi ha amato i dischi precedenti e successivi della band. Dal tour di questo disco sarà poi tratto un live di successo che contribuirà ad una sensibile crescita di popolarità della band. Il giusto riconoscimento per una delle bands più sfortunate del rock.