Dizzee Rascal – Showtime

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Tra il 1997 e il 2004, in Inghilterra, nasce una nuova (e non troppo conosciuta) cultura musicale che si fa strada tra i club londinesi e il ghetto, alla ricerca di un nuovo linguaggio che trova nel rap la sua naturale evoluzione. Stiamo parlando del cosiddetto “two step garage”, una forma di non genere che ha tra i suoi esponenti più famosi la discutissima creatura di Mike Skinner ovvero “The Street” – divenuti in poco tempo caso musicale inglese; e se i The Street sono la risposta quotidiana e scazzata all’Inghilterra, Dizzee Rascal è la risposta ai succitati artisti.
Il ventenne inglese nel suo secondo album si pone silenziosamente all’attenzione degli addetti ai lavori, movendosi all’interno di un ambiente musicale che, per quanto peschi a piene mani dell’old school americana, fa fatica ad essere classificato come generico rap, andando più volte oltre l’immaginaria linea che delimita la composizione hip hop da quella fondamentalmente electro: Dizzee non fa molta fatica a inserirsi nella corrente elettronica e ravvivarla: che si tratti di campionamenti vicini al jingle, di glitch, di dance, di minimalismo, breakbeat, il suo eclettismo sintetizza la ruvidezza americana con la dance hall tanto di moda nell’underground inglese; in fondo il ritmo spezzato di “Hype Talk” è più facile trovarlo in un club che in un disco rap.
Un disco così coraggioso merita sicuramente almeno un ascolto, per scoprire che dietro la ruvidezza dell’album (le prime tracce in particolare) si nascondono gemme pop/soul anni ’60 come “Dream” che con i suoi coretti potrebbe monopolizzare il vostro stereo per settimane, oppure come “Face”, perfetta dedica a chi è più avvezzo all’elettronica che non alle rime. E magari scoprire che “Get By” è costruita su un loop che sembra uscire dal Giappone con tanto d’incursione femminile sul refrain, o anche che Girls è la perfetta unione tra i Beastie Boys zoppi e la dance hall. Menzione speciale per “Fickle”, che tra suoni dance e bassi rotondi, rasenta il capolavoro.
Insomma, dentro c’è tutto e benché si parli di scena garage, di ruvidezza, di ghetto, Dizzee Rascal non tradisce la sua vena inglese, incapace – nel senso più positivo che si possa paradossalmente dare a questa parola – di scindere i club dal suo fare musica; di unire arroganza, melodia, violenza. In una sola parola: Showtime.