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C’è qualcosa di opprimente, di soffocante e spettrale nel nuovo album dei The Cranes. Nati a cavallo tra gli anni ottanta e novanta, in piena ondata shoegaze, questi quattro ragazzi di Portsmouth (Inghilterra) sono stati il perfetto punto d’incontro tra la cupezza dei suoni dark-wave e le visioni oniriche dream pop avvolte da un setoso strato di elettronica e da piccole incursioni noise.
Il nuovo “Particles and waves” è un disco più scarno rispetto al passato, privo di barocchismi e delle visioni psichedeliche che avevano fatto capolino nei lavori precedenti, sicuramente più claustrofobico e malinconico.
Sottile e infantile la voce di Allison Shaw scivola indisturbata tra le dieci tracce di questo nuovo lavoro lasciandosi alle spalle quel “Future songs” che aveva portato il gruppo verso sonorità più accessibili e scontate.
“Particles and waves” è un inquietante labirinto di suoni, un’insicurezza disarmante che ti coglie alle spalle, è una strada notturna inghiottita dalla nebbia.
Ad aprire l’album ci pensa “Vanishing point”, brano multiforme che ha come inizio una suadente bossa nova pronta ad esplodere in un finale assolutamente pop. I suoni liquidi di “K56” sono il vero punto di partenza del disco, una cascata ripetitiva di gocce elettroniche, un temporale di beat in un luogo sconosciuto dove Allison volteggia indisturbata nell’ossessione della melodia. In “Every town” fa capolino una voce maschile che richiama gli echi delle nuove leve del folk come Iron and Wine mentre la title track è un etereo dialogo tra le sensuali corde vocali femminili e i sintetici suoni elettronici scanditi da una batteria à la Blonde Redhead di “Melody Of Certains Damaged Lemons”.
Lo straordinario finale, che mette a confronto la cupezza di “Streams” e la speranza infantile di “Light Song”, sembra essere il miglior riassunto possibile di un disco che precipita in un abisso di paura e ossessione per poi risalire verso una luce accecante.
“Particles and Waves” è un continuo sfiorarsi di mani con i Cocteau Twins e segna definitivamente l’abbandono dei riverberi shoegaze degli Jesus and Marychain. Un disco che, seppur molto più scarno rispetto al passato, non deluderà i fans di vecchia data del gruppo, un disco particolare, scivoloso e foderato di una sofisticata e vellutata eleganza.