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Davide Van Desfroos è senza dubbio uno dei personaggi più interessanti emersi sulla scena italiana negli ultimi anni, partito come cantastorie un po’ guascone si è piano piano trasformato; è cresciuto sia come autore che come musicista e poeta e oggi con Akuaduulza si presenta a noi come un vero e proprio songwriter. Questa sua nuova fatica discografica si dissocia in modo netto dai precedenti lavori. I testi (quasi tutti in dialetto del lago come in passato) sono cupi, spesso ispirati a leggende del folkclore locale della zona del lago di Como con streghe, fantasmi e via dicendo ma anche riflessioni amare sulla vita vista da persone relegate ai margini della società. Dal punto di vista musicale le novità sono molte: la fisarmonica (regina dei dischi precedenti) è quasi totalmente sparita per far posto ad una dose massiccia di violino e soprattutto chitarre. Proprio queste ultime sono le vere protagoniste dell’album: elettriche, acustiche, slide, steel ce ne è per tutti i gusti. Giocoforza il sound è anch’esso notevolmente mutato: non più sonorità vicine al folk irlandese ma suoni americani al 100% sia che si tratti di country di blues o di folk. Forse una scelta così radicale spiazzerà molti ascoltatori; è successo anche a me. I primi ascolti mi hanno lasciato perplesso, ero abituato al Davide cantastorie allegro e scanzonato con quel suo irresistibile humor da paese, e mi trovo davanti un disco cupo e musicalmente diversissimo dal passato. Ma poi ad ogni ascolto l’album è cresciuto ed ora non posso che approvare in pieno la scelta del nostro. D’altronde un vero artista deve seguire il suo istinto e il suo cuore e probabilmente Davide non sentiva più sue certe atmosfere e certi suoni. Fa parte del naturale percorso di crescita di un artista affrontare certe sfide a costo di scontentare qualcuno. Per fare un esempio, prima la musica di Davide era una sorta di mix tra i Pogues, Nanni Svampa e De Andrè, ora sembra una sorta di Jackie Leven in versione sudista, un Willie Deville travestito da Bob Dylan. Poeta sì ma anche attento musicista che ama spaziare tra i sound più disparati ma sempre legati , in questo caso, alla musica made in USA. Credo che in fondo la vera forza di questo disco stia nel fatto che Davide non si limiti a scimmiottare i maestri d’oltreoceano ma abbia preso suoni, colori ed atmosfere della musica americana inglobandole all’interno del suo modo di essere e di vivere la musica. Non è andato a New Orleans o nel Mississippi per registrare il disco , è rimasto a casa sua sul lago, nella sua cantina, con i suoi musicisti a raccontare le sue storie. Akaduulza è tutto questo ma anche di più: in totale sono 15 brani quasi tutti di altissimo livello, davvero difficile trovare dei passaggi a vuoto; ovviamente ci sono canzoni più riuscite di altre ma il livello globale dell’album è davvero molto, molto elevato. Io mi limito a segnalarvi le song che più mi hanno colpito, lasciando poi a voi il piacere di scoprire il resto del disco. Su tutte ci metto senza ombra di dubbio “Rosa Nera” una ballata voce e chitarre con la slide di Alessio Lorenzi in grande spolvero: La storia è poi splendida, parla di questa chitarra e delle sue vicissitudini, delle persone cui è appartenuta e dei luoghi che ha visto, una sorta di ode blues allo strumento principe della nostra musica; favolosa la parte finale dove Davide dice”…e hai suonato rosa nera per far solletico a sto mondo. Fuori dai cessi e dalle chiese,per il sacrista e il vagabondo. Abbiam deciso di suonare senza pesare le persone, solo chi spara a una chitarra non ha diritto a una canzone”. Bella anche “Shimmtaakula (recitativo del Camminatore nel Buio)”, l’unica canzone cantata totalmente in italiano del disco, una ballata cupa dal sapore gotico esaltato da strumenti messicani come l’Ocarina che accompagnano la voce roca e coinvolgente del nostro. Splendida poi la title track, una vera dichiarazione d’amore alla sua terra e al lago che la domina incontrastato; si percepisce tutto l’attaccamento e l’amore che Van De Sfroos nutre per questi suggestivi luoghi. Sempre in tema di canzoni “nere” merita senza dubbio una citazione “Fendin”. E’ la storia di questo personaggio “Il Fendin” (defendente) che essendo molto avaro non volle portare la sua barca alla benedizione per la quale era previsto il pagamento di un tributo. Fu così che la sua imbarcazione divenne preda di un gruppo di streghe che la usavano per recarsi ai sabbah. A fare da colonna sonora a questa leggenda del folklore laghee lo splendido violino di Angapiemage Galliano Persico , l’oboe e le percussioni quasi tribali , molto efficace la filastrocca nera quasi impronunciabile (Yalba Kuresh manumm traagah, retha mazur tajènna….Wootemm reeg kalim shaaba druna matt’moje mitz nu) che è il ritornello del brano. Ci sono poi le poesie in musica come “La preghiera delle quattro foglie”, solo voce e chitarra acustica come ennesima dimostrazione che per fare una grande canzone basta davvero poco se si ha il talento. Bello poi il country di “Nona Lucia” con il fiddle , la fisarmonica e un ritmo indiavolato davvero irresistibile.
In conclusione possiamo tranquillamente dire che questo è senza ombra di dubbio il disco della maturità di Davide Van DeSfroos, il suo lavoro più completo e a mio avviso più bello. Akuaduulza non è un disco facile, richiede un ascolto attento e approfondito per poterne cogliere tutte le infinite sfumature sia musicali che a livello di testo (a tal proposito menzione d’onore per il booklet con tutti i brani tradotti e davvero ben curato). Il disco cresce dopo ogni ascolto e alla fine sono certo vi conquisterà come ha conquistato me. Ancora una volta l’uomo del lago ha centrato il segno.